Galoppante mancanza di fiducia dell’elettorato americano nei confronti della politica a stelle e strisce, disorganicità della campagna elettorale condotta dal candidato repubblicano Donald Trump. Sono le due certezze delle elezioni americane più imprevedibili. E’ quello che è emerso dalla conversazione tenutasi stamane tra Jeremy Shapiro, direttore alla ricerca presso l’European Council of Foreign Relations, e Kurt Volker, ex rappresentate permanente per gli Stati Uniti presso la Nato, durante l’evento organizzato dallo Iai e moderato dal direttore dell’Istituto Ettore Greco.
IL MALCONTENTO DEGLI ELETTORI AMERICANI
“Gli elettori sono scontenti e hanno maturato la convinzione che il governo – attuale e in procinto di formarsi – non sia capace di ascoltare le sue richieste”, ha affermato Kurt Volker. Gli americani sono disillusi sulle reali capacità della classe dirigente di farsi portavoce dei loro bisogni, da cui derivano la paura per il futuro e un conseguente senso di frustazione piuttosto diffuso.
Da ciò è possibile intuire il perché dell’inaspettato successo di Donald Trump. “C’erano almeno 12 candidati migliori di Trump, eppure lui ha saputo fare presa sull’elettorato meglio di loro, soprattutto a livello televisivo”, ha commentato Volker. Secondo Shapiro, poi, ha influito anche il fatto che “Trump fosse già molto conosciuto dagli americani quando ha cominciato a gareggiare con gli altri candidati repubblicani durante le primarie”.
Sembrerebbe, insomma, che fama pregressa e una buona dose di demogogia abbiano permesso a Donald Trump di sbaragliare la concorrenza. Altro merito da riconoscere al magnate dell’immobiliare, sempre ammesso che di meriti si possa parlare, è “l’aver ribaltato il sistema fortemente oligarcarchico che caratterizza la politica americana, per cui i partiti esercitano un controllo, per l’appunto oligarchico, su rispettivi candidati”, secondo Shapiro.
Dalla disillusione del popolo americano nei confronti della politica nasce, paradossalmente, anche un’altra delle poche certezze che caratterizzano queste presidenziali. Molti degli elettori che si recheranno alle urne lo faranno non per votare in favore di uno dei candidati, quanto per votare contro l’altro. Non si tratterà, cioè, di votare per il proprio candidato del cuore, quanto di scegliere il male minore, affinché il male maggiore non abbia la meglio. Questo potrebbe permettere a Hillary Clinton di compattare l’elettorato democratico, accaparrandosi anche i voti di coloro i quali avevano sostenuto il rivale Bernie Sanders durante le primarie democratiche, e, così, di avere la meglio sul suo sfidante, secondo Volker.
IL CAOS DELL’UNIVERSO TRUMP
La frase più ripetuta durante il dibattito è stata: “Non sappiamo cosa farà Trump”, a prescindere da quale fosse il tema dibattuto. Prevedere come si comporterà Donald Trump una volta preso il controllo dell’ufficio ovale, in caso di vittoria del partito repubblicano, è un’impresa ardua, soprattutto per via del continuo suo dire tutto e il contrario di tutto. Questo vale per lo più quando si parla di politica estera, perché se qualcuno è ottimista su come potrà agire Trump in campo economico – “alcuni miei amici di New York non temono le sue scelte di politica economica, perché lui ci sa fare davvero con i numeri”, ha commentato Volker – in molti sono preoccupati, se non terrorizzati, dall’idea che Trump possa decidere il da farsi in Medio Oriente, ad esempio. Il suo voler ritirarsi dal Medio Oriente e, al contempo, combattere l’Isis è piuttosto esemplificativo della mancanza di organicità e chiarezza che contraddistingue il (non) progetto di politica estera di Trump.
A preoccupare, poi, è anche l’ammirazione che Trump ha manifestato per alcuni dittatori, come Muammar Gheddafi o Kim Jong-un. Ma tralasciando certe affermazioni, che potrebbero esser interpretate più come mosse mediatiche che altro, a far riflettere è la volontà di Trump di stingere rapporti più intensi con la Russia. A destare preoccupazione non è la possibilità che Washington muova versa una più intensa cooperazione con Mosca, dal momento che anche Obama e Kerry hanno parlato a lungo della necessità di dialogare con la Russia, soprattutto data la complessità della situazione in Siria, quanto il fatto che “Trump stia esprimendo la sua affinità ideologica con Putin e il personaggio autoritario che questi rappresenta”, ha commentato Shapiro. “Putin ha cambiato totalmente il sistema politico russo che, oggi, non è più una democrazia […] Questo è in contrasto con il sistema istituito dopo la caduta del muro di Berlino […] e di questo si dovrebbe tenere conto quando si pensa alla volontà di Trump di avvicinarsi alla Russia”, ha proseguito Volker.
In quanto a Hillary, invece, la definizione che entrambi i relatori hanno fornito sulla linea di politica estera che l’ex first lady presumubilmente adotterà in caso di vittoria è la seguente: “Obama heavy”. La candidata democratica, cioè, non si discosterà dalla linea politica sposata dal presidente uscente, ma la implementerà in maniera più incisiva.