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Vi spiego come si muove la Turchia di Erdogan nello scacchiere mediorientale

Le offensive per la riconquista dall’Isis di Raqqa e di Mosul rimettono in gioco il ruolo della Turchia in Medio Oriente. La questione trascende il problema dei confini meridionali turchi e dell’eventuale creazione di uno Stato curdo. Riguarda gli interi assetti del Medio Oriente e il ruolo della Turchia nella regione. Essa conosce un processo di disintegrazione e, al tempo stesso, uno di unificazione. Per il primo, emergono attori sub-statali e gruppi terroristici, mentre si indeboliscono gli Strati creati dalla Francia e dalla Gran Bretagna alla fine della prima guerra mondiale. Per il secondo, stanno creandosi due blocchi, uno sunnita e uno sciita, facenti capo rispettivamente all’Arabia Saudita e all’Iran. Anche il Califfato aveva cercato di superare le divisioni tribali, etniche e confessionali, sovrapponendo loro un’identità islamica. Oggi l’Isis/Daesh è indebolito. Ne è prevedibile il collasso, come proto-stato. Verosimilmente, i suoi seguaci più radicali daranno vita a una rete di gruppi terroristici, per molti versi simile ad al-Qaeda.

Tutti si chiedono quale sarà l’assetto della regione. Improbabile è la ricostituzione dei precedenti Stati. Anche la sorte dei curdi è incerta. Quelli siriani sono stati bloccati dall’operazione “Scudo dell’Eufrate”, con cui la Turchia ha conquistato la regione ad ovest del fiume, separando la Rojava dall’enclave curda di Arvil. La più volte ipotizzata unione fra il Kurdistan siriano con quello iracheno è anch’essa problematica. Ankara è opposta alla creazione di un’entità autonoma curda ai suoi confini meridionali. Teme che alimenti il terrorismo del Pkk in Turchia. Per Ankara, i curdi sono “turchi delle montagne” e vanno riassorbiti nello Stato turco o, come taluni dicono, nella “turcosfera”. Fanno eccezione i curdi iraniani. Essi stanno rivoltandosi contro Teheran. Il contrasto all’autonomia curda costituisce una delle più forti ragioni dei buoni rapporti fra Ankara e Teheran.

Particolarmente vivo nell’immaginario collettivo turco è ancora il trattato di Sèvres del 1919, che aveva smembrato il paese, prevedendo, soprattutto in Anatolia, la costituzione di uno Stato curdo. Tale trattato non ne definiva i confini, che avrebbero dovuto essere negoziati successivamente e approvati dalla Società delle Nazioni. Il trattato di Losanna del 1923 aveva ristabilito l’unità territoriale della Turchia, sanzionando le vittorie di Kemal Ataturk. Esso lasciò in sospeso la questione di Mosul e della provincia di Niniveh, che la Turchia continuò a rivendicare. Solo nel 1927 furono poste sotto mandato britannico e in seguito divennero parte dell’Iraq.

La Turchia teme che, nel post-Isis, l’unificazione dei curdi iracheni e siriani costituisca una minaccia per la Turchia, che deve vedersela con le richieste di identità, quando non di autonomia, dei 15 milioni di curdi che vivono sul suo territorio. Preferisce riunire i curdi iracheni e siriani nel suo territorio, anche per meglio controllarli. Opposto a tale obiettivo e fautore dell’indipendenza della nazione curda è il Pkk, che dispone di 4-5.000 combattenti nelle zona del monte Sinjar, intermedia fra il Kurdistan iracheno e la Rojava siriana. Il Pkk intende avere un ruolo di rilievo nella conquista di Mosul, anche per evitare che la città venga conquistata dalle milizie sciite, appoggiate dall’Iran, che verosimilmente effettueranno una feroce pulizia etnica della città a danno non solo dei sunniti, arabi e turkmeni, ma anche dei curdi.

Erdogan non riconosce la divisione del Medio Oriente, anticipata dagli accordi Sykes-Picot e formalizzata nel trattato di Sèvres. Vuole modificare le frontiere e, nel contempo, impedire la costituzione di uno Stato curdo. Pensa che il prossimo crollo del Daesh gli offra l’opportunità di realizzare tale obiettivo. Perciò, vuole entrare nel “gioco”, dichiarando la disponibilità turca di partecipare alle offensive di Raqqa e Mosul. Per la prima ha posto una condizione: le forze curdo-siriane dell’Ypg non dovrebbero partecipare. Ha così messo in imbarazzo gli Usa. L’Ypg ha costituito il suo più efficace alleato contro l’Isis.

L’offerta turca di partecipare all’offensiva contro Mosul è stata poi respinta molto duramente dal premier iracheno al-Abadi. Egli ha affermato che la presenza turca nell’Iraq settentrionale ritarda l’inizio dell’attacco a Mosul e ha chiesto ad Ankara di ritirare le sue forze dall’Iraq. Ha anche minacciato che, qualora non lo facesse, esse verrebbero attaccate dalle milizie sciite irachene, sostenute dall’Iran. Baghdad non vuole che la Turchia, che non ha rinunciato a Mosul partecipi alla sua riconquista. Aumenterebbe l’influenza che già possiede in Iraq per la sua collaborazione politica ed economica con il Krg. Anche il governo siriano ha protestato per l’occupazione di parte del suo territorio a ovest dell’Eufrate, definendola un’aggressione. Né la Russia né l’Iran hanno fatto commenti. Gli Usa sono imbarazzati per i contrasti fra la Turchia e il loro migliore alleato in Siria, l’Ypg. E’ verosimile che, se la situazione dovesse precipitare, non potrebbero far altro che sostenere Ankara.

Erdogan è disposto a intervenire in Iraq e Siria senza il consenso degli interessati, soprattutto degli Usa? Le forze armate turche, sebbene indebolite dalle epurazioni post-golpe, sarebbero in condizioni di combattere su due fronti. Ankara si è forse garantita la neutralità di Mosca. Certamente un attacco a Mosul guasterebbe i suoi rapporti con l’Iran. Ma la situazione è complessa e incerta. Molto verosimilmente, quindi, le offensive contro Raqqa e Mosul non coinvolgeranno la Turchia sin dall’inizio, ma solo se le forze della coalizione e quelle irachene non riuscissero a superare le difese dell’Isis. Qualora esse venissero rapidamente travolte, per Erdogan subirebbe un grave scacco. Sarebbe umiliato soprattutto se le forze del Pkk dovessero partecipare alla conquista di Mosul, migliorando la loro immagine e legittimità a livello regionale e aumentando la loro influenza sul Krg. Le ambizioni neo-ottomane del presidente turco dovrebbero essere abbandonate.

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