Nella contabilità degli incontri ufficiali, tra Bilaterali, Trilaterali, G7, Consigli Europei e Vertici Nato, quella di ieri è stata la decima volta che nel corso del 2016 il Premier Matteo Renzi e la Cancelliera tedesca Angela Merkel si sono trovati di fronte. Un ritmo assai più sostenuto delle sette occasioni nel 2015 e delle altrettante del 2014.
A leggere l’agenda ufficiale di ieri non si trova nulla di particolarmente nuovo: i temi all’ordine del giorno sono più o meno sempre gli stessi, crescita economica, sicurezza, immigrazione, flessibilità nella applicazione del Fiscal Compact. Ma basta ritornare indietro, riavvolgendo il nastro della Storia, per vedere i profondi mutamenti che ci sono stati in meno di tre anni di Presidenza del Consiglio di Matteo Renzi, anche nei rapporti con la Cancelliera Merkel.
Tanto tempo è passato dalla loro prima Bilaterale, svoltasi a Berlino il 17 marzo 2014, con il giovane premier italiano appena insediato a Palazzo Chigi. La Cancelliera si disse molto colpita dalla personalità di Matteo Renzi, rilevando che per l’Italia era già un cambiamento strutturale. Non senza aver chiosato di essere certa che il nostro Paese “rispetterà il Fiscal compact”. Dal canto suo, Renzi affermò che l’Italia deve smettere “di pensare che le riforme vanno fatte perché ce lo chiede Bruxelles o Berlino o altre capitali. Le facciamo perché sono giuste per noi”: il suo impegno al governo era appena agli inizi, con il Jobs Act ancora da approvare.
Tanta acqua è passata pure sotto Ponte Vecchio, dalla Bilaterale di Firenze nel gennaio del 2015, con la Cancelliera incantata davanti alle opere di Michelangelo e Botticelli. “Le riforma strutturali non si fermano”, affermò Renzi, sottolineando come gli imprenditori tedeschi in Italia le avessero accolte con favore. Ma qualcosa già lo allarmava. I temi della sicurezza e della crisi del disegno europeo, che sono stati al centro della recentissima Trilaterale di Ventotene, già si affacciavano pericolosamente: “Noi oggi continuiamo a parlare sempre di questioni economiche ma dimentichiamo che c’è un tema nel quale l’Europa ha un grandissimo elemento di forza nel mondo: la capacità di dare ispirazioni e ideali. Ce ne siamo resi conto nella grande marcia di Parigi, perché l’Europa è un’idea che va promossa. Forse tutti noi insieme dobbiamo cambiare la narrativa dell’Europa. Dobbiamo tornare ad appassionare i cittadini. Il nostro impegno è totale, è l’unica strada per affrontare il rischio di coloro che vorrebbero distruggere i valori dell’Europa“. Allora, erano solo timori.
Sembra passato un secolo anche dall’aprile del 2015, quando si tenne l’ultimo Incontro a Quattro, con il Premier Cameron. Con la Brexit alle spalle, ora ci sono le Trilaterali, inaugurate a Berlino lo scorso 27 giugno: anche questo è un segno dei tempi. E’ una lacerazione profonda, purtroppo auspicata dai tanti europeisti che hanno considerato l’Inghilterra un corpo estraneo all’Europa, ostacolo insuperabile rispetto alla integrazione politica dell’Unione.
Ieri, a Maranello, in casa Ferrari, il nuovo incontro. Una location forse un po’ appannata rispetto ai fasti dell’era di Montezemolo e di Schumacher, che in Formula 1 la facevano da padroni, e soprattutto dopo la fusione della Fiat con la Chrysler, il trasferimento a Detroit, la sede legale in Olanda e quella fiscale a Londra. Anche questo è un segno dei tempi.
Le dichiarazioni, al termine dell’incontro, hanno riguardato la ricostruzione delle aree colpite dal terremoto, evento che consente di attivare una specifica clausola di flessibilità contenuta nel Fiscal Compact: Renzi ha annunciato che l’Italia si avvarrà delle regole europee, sulla base di un progetto serio e legato al buon senso ed al futuro. Punta ad una deroga a lungo termine per finanziare il progetto Casa Italia per la prevenzione anti-sismica. Sulla questione della flessibilità, la Cancelliera si è detta consapevole del “peso che sopporta il Paese”, auspicando che a Bruxelles si trovi una soluzione “ragionevole e sensata”: è più di una apertura.
Il clima è cambiato. La Cancelliera è preoccupata che il disegno europeo si sfarini sotto il peso della economia che non riprende e per l’area di instabilità che assedia il Continente, dalla Ucraina alla Turchia, dalla Siria alla Libia. Renzi si è vantato del Jobs Act, che avrebbe dovuto essere varato dieci anni fa, e del deficit, mai stato così basso da dieci anni a questa parte. Si è tolto pure un sassolino dalla scarpa, affermando che Bruxelles “non è il luogo dove si distribuiscono le pagelle”. Purtroppo per noi, la montagna del debito sta sempre lì.