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Perché non sparacchio contro l’Ape del pensionamento anticipato

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Sono ormai diventato un ospite fisso nei talk show in cui si parla di pensioni. Sarà per la solita questione che a fare notizia non il cane che morde l’uomo, ma l’uomo che morde il cane. Io, infatti, sono uno dei pochi che non esita a difendere la riforma Fornero (ed è per questo motivo che – oltre ad insulti sulla rete – ho già ricevuto almeno sei lettere anonime di contenuto, diciamo così, ingiurioso, di cui ho informato i Carabinieri). Dopo ogni trasmissione rimango con un profondo senso di frustrazione e di vergogna. Di frustrazione perché rimprovero a me stesso di non saper rinunciare al “falò delle vanità’’, di sentirmi ancora protagonista nonostante l’età e l’estraneità da ogni altra attività che non sia di studio e di approfondimento (oltre ovviamente di cura delle mie due gattine). Provo, invece, un sentimento di vergogna per trovarmi in compagnia di ospiti irresponsabili, capaci di tutto; e per aver preso parte – nella generalità dei casi (ma ci sono anche trasmissioni serie a cui partecipano persone competenti) – ad un’orgia di demagogia e di menzogne, a partire dalla rappresentazione ‘’tipizzata’’ del pensionato italiano: una persona vecchia, macilenta, meglio se in abiti dimessi e con la dentiera malmessa, che fruga nell’immondizia o, quando va bene, racconta di vivere con redditi da Paese in via di sviluppo. Ciò, in un contesto, in cui si avverte la presenza incombente dei “pensionati d’oro’’, dei vitalizi e di quant’altro eccita l’invidia sociale. Purtroppo, questi casi di povertà estrema esistono e sono anche tanti. Ed è giusto segnalarli. Ma non rappresentano la condizione prevalente delle famiglie di anziani in Italia, come dimostrano tutte le statistiche, le indagini e le pubblicazioni ufficiali e specializzate. Anzi sono le famiglie di pensionati che – nonostante tutto – hanno retto meglio gli effetti della crisi. È scorretto e falso associare l’idea dell’anziano pensionato a quella della povertà assoluta.

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Quando si parla di pensioni tutti si sentono autorizzati a sparare sulla Croce Rossa. Prendiamo da ultimo l’Ape. Per quanto se ne sa (è sempre opportuno essere cauti) costituisce la risposta a un problema. Non sarà la migliore possibile, ma è quanto ci possiamo permettere come Paese. Una volta introdotta questa misura, a chi resta disoccupato alcuni anni prima della pensione o a chi sceglie di uscire prima dal mercato del lavoro viene riconosciuta un’opportunità (per ora sperimentale) di avvalersi – a fronte dei requisiti anagrafici e contributivi richiesti – di un prestito bancario che lo accompagna, per il massimo di un triennio, fino al momento del pensionamento ordinario, quando inizia a pagare le rate ventennali per la restituzione del prestito (capitale + interessi + costo assicurativo). Se il suo assegno pensionistico è di importo medio-basso o se la persona versa in particolari situazioni di disagio, la rata è deducibile dall’imponibile fiscale. Il prestito quindi diventa gratuito. Un’operazione questa che costa 700 milioni l’anno e non un ammontare da 2 a 5 miliardi come la flessibilità in uscita contenuta, rispettivamente, nelle proposte di Boeri e Damiano.

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Il principio dell’Ape è sano. Se l’interessato è in difficoltà è giusto che, nel chiedere e nel restituire il prestito, lo sostenga la collettività tramite il fisco. Se è coinvolto in un processo di ristrutturazione è corretto che una quota dell’Ape sia a carico del datore. Se l’anticipo corrisponde ad una scelta di vita è sacrosanto che sia la persona a pagarsi questo lusso. Tanto più che è in grado, se lo vuole, di svolgere durante il periodo di anticipo un altro lavoro che gli incrementa la pensione quando uscirà dal mercato del lavoro, al compimento dei requisiti.

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Un’ulteriore stupidaggine: il Governo – dicono gli sfasciacarrozze – vuol fare un regalo alle banche e alle assicurazioni. Purtroppo, invece, il sistema delle garanzie, riguardanti la restituzione del prestito, rimane avvolto tra dense nubi nere che non consentono di intravvedere ancora una soluzione convincente.

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I nostalgici della flessibilità in uscita, ora assatanati nel denunciare i tagli alle pensioni derivanti dalla restituzione ventennale del prestito, sembrano aver dimenticato che la loro proposta non era un pranzo di nozze. Anche in quel caso l’assegno era sottoposto ad una penalizzazione economica, ragguagliata ad ogni anni di anticipo, strutturale e permanente, caricata anche sui superstiti.

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Ieri, dopo le dichiarazioni dell’ambasciatore Usa sugli effetti dell’esito del referendum, coloro che attraversavano Piazza Colonna hanno sentito cantare, da dentro Palazzo Chigi’’, l’inno “God save America’’.

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