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Vi spiego perché i problemi delle banche italiane sono gli stessi delle banche di tutt’Europa

Maastricht, popolari

Da più parti si parla di ristrutturazione del sistema bancario. In particolare dal forum Ambrosetti di Cernobbio è emerso che mentre negli altri Paesi europei il sistema bancario veniva profondamente riformato alla luce delle esigenze dell’economia e del mercato e soprattutto dei progressi della tecnologia, in Italia nulla sarebbe stato fatto e tanto si dovrà fare in termini di aggregazioni con chiusure di sportelli e taglio del personale.

Le cose non stanno così e sarebbe, forse, utile ricordare cosa è successo negli ultimi venticinque anni in Italia. Nella prospettiva del mercato unico dei servizi finanziari e sulla spinta della liberalizzazione dei movimenti di capitale si è realizzato un profondo riassetto dell’intero sistema bancario, maturato negli anni ’70 e ’80 e culminato nella legge Amato-Carli del 1990 e nella nuova legge bancaria del 1993. La riforma prevedeva il superamento, da una parte, della banca pubblica – troppo condizionata dalla politica – e, dall’altro, della regolamentazione della concorrenza considerata eccessivamente limitativa. Il modello da perseguire, secondo i principi di quella riforma, attraverso la tutela della concorrenza, era quello della banca universale e dei grandi gruppi creditizi, naturalmente, privati, con una disciplina “snella” e con due sole forme giuridiche, S.p.A. e cooperativa. Incentivi normativi e fiscali, introdotti con quelle due leggi, hanno prodotto, così, una formidabile spinta alle concentrazioni tra banche riformando il sistema bancario con una intensità e una rapidità senza precedenti in Europa.

Dal 1990 al 2000, si realizzano 500 aggregazioni con il trasferimento di oltre il 40 per cento di quote di mercato. Già a fine 2000 il grado di concentrazione del sistema bancario, misurato sui primi cinque gruppi, raggiunge il 50 per cento (nel 1996 era il 35 per cento) . Tra il 1998 e il 2007, si realizzano 193 operazioni di fusione/incorporazioni tra banche e 133 acquisizioni. Nel 1990 il sistema bancario italiano era composto da 1.064 banche, 93 erano le Banche “pubbliche” che rappresentavano il 57,2 per cento del totale dell’attivo del sistema bancario, 106 la Banche di credito ordinario (20,5 per cento dell’attivo), 108 le Banche Popolari (14,2 dell’attivo) e 715 le Casse Rurali e Artigiani (4,3 per cento).

Oggi le banche italiane sono 643 (quasi la metà), 215 sono le Banche commerciali S.p.A., 63 le Popolari e 365 le Banche di Credito Cooperativo, mentre quelle pubbliche non esistono più. Sono numeri che rendono chiara l’imponenza del processo che si è realizzato in un solo decennio. La riorganizzazione del sistema bancario italiano, basato su privatizzazione, concentrazione e despecializzazione, si è realizzato pienamente ed è il frutto di una precisa scelta di sistema che, negli anni novanta, era politicamente e culturalmente dominante. Oggi, si reputa che quel modello sia da mettere in discussione e da riformare profondamente ancora una volta perché, alla luce della crisi economica di inizio millennio, si deve considerare non più efficacie? Già obsoleto? Bene. Lo si dica apertamente. Gli slogan e le minacce di licenziamenti non servono e sono dannosi. Non si invochino generici “modelli diversi” dal “resto d’Europa” senza neanche conoscerli ma, al contrario, si dica quale sistema si vuole realizzare. Si studi e non si pensi, presuntuosamente, di essere all’anno zero su ogni problema.

Un ulteriore processo di razionalizzazione del sistema bancario è oggi richiesto dalla necessità di fronteggiare la rivoluzione tecnologica e una bassa redditività generata, da un lato, da una regolamentazione prudenziale sempre più stringente e, dall’altra, da una politica monetaria a tassi di interesse pari a zero che non consente più margini di profitto. Come ricordava, solo qualche giorno fa Marco Onado sul Sole 24 Ore, la razionalizzazione dei costi operativi è un problema generale e non riguarda singole situazioni di problematicità, è un problema di tutta l’Europa visto che il rapporto fra costi operativi e profitti, in tutti i principali sistemi bancari europei, non ha subito sostanziali riduzioni nell’ultimo decennio. Sempre secondo l’economista, la via maestra di fronte a problemi di simile portata che il Paese deve saper affrontare nel suo complesso è rappresentata da soluzioni di sistema con il sostegno pubblico.

Il problema principale torna ad essere, dunque, quello della crisi economica dalla quale non si vedono vie di uscita né semplici, né scontate. Il tema del riassetto del sistema bancario italiano sarà serio soltanto se affrontato nell’ambito europeo in una generale e seria riflessione sull’intero sistema bancario, finanziario ed economico e dei principi “neoliberisti” che hanno ispirato i decenni precedenti la crisi e che hanno prodotto gli attuali esiti destabilizzanti. L’emergenza da affrontare è, oggi, quella del rilancio dell’economia reale. Il tema non più rinviabile è quello di tornare a tassi di occupazione accettabili. Un nuovo modo di “fare impresa” che abbia come obiettivo prioritario non esclusivamente la redditività economica ma anche la redditività sociale è quello che sarebbe necessario e che si sta, faticosamente, facendo strada con la consapevolezza degli errori del passato. Per questo la biodiversità dei soggetti creditizi sia per quanto riguarda la governance che l’operatività, dovrebbe essere valorizzata, dovrebbe divenire un elemento strategico.

Le Banche Popolari, nel corso della loro lunga storia, hanno contribuito in maniera decisiva allo sviluppo del nostro Paese. Oggi, tra capogruppo, controllate e indipendenti, sono 63. Il processo di aggregazioni che le ha riguardate ma non ha però ridotto la loro operatività, anzi, rappresentano, il 25 per cento della raccolta bancaria e del credito erogato contro il 14 per cento del 1990, quando erano 108, quasi il doppio. Nel processo di razionalizzazione e di ricerca di una maggiore efficacia, stanno facendo la propria parte e continueranno a farla finanziando ancora l’economia reale e investendo sulla vita delle comunità e dei territori.

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