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Riforma Bcc, cosa pensa la Bce delle disposizioni di Bankitalia

La Banca centrale europea, dopo aver ammonito il MEF il 24 marzo scorso per aver chiesto il parere alla stessa Bce solo in data 2 marzo 2016 (ossia dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto legge 14 febbraio 2016 n. 18), interviene nuovamente sul processo di riforma delle banche di credito cooperativo.

Questa volta, tuttavia, con parere datato 31 agosto 2016, la Bce sembra approvare ed apprezzare sia la tempistica con la quale è stata informata delle disposizioni attuative poste in consultazione sino al 13 settembre prossimo dalla Banca d’Italia, sia il loro contenuto.

In effetti, le osservazioni fornite dall’organo di vigilanza europeo, piuttosto che vere e proprie richieste di modifica dello schema normativo emanato da Bankitalia, rappresentano delle proposte di integrazione e/o specificazione di determinate fattispecie che attengono al funzionamento del gruppo bancario cooperativo, al punto che emerge sin troppo evidente una condivisa gestione tra le due autorità di vigilanza nella stesura della normativa secondaria che dovrà disciplinare la riforma delle Bcc.
Di conseguenza, forse anche allo scopo di scoraggiare eventuali temerari tentativi del versante associativo di proporre modifiche tese a ridurre i poteri attribuiti alla capogruppo, la Bce non poteva che formulare un parere finalizzato ad incrementare ulteriormente quei poteri che, alcuni, consideravano già eccessivi nella versione posta in consultazione.

Certamente ci sarà spazio per modifiche normative che riflettano una maggiore applicazione del principio di proporzionalità in funzione della rischiosità delle banche (risk based approach), specie con riferimento al preventivo consenso che la capogruppo deve esprimere per la scelta dei candidati alla nomina degli organi di amministrazione e controllo delle singole Bcc, ma appare francamente difficile immaginare che Banca d’Italia, alla luce del parere rilasciato dalla Bce, possa accettare proposte di modifica dello schema normativo dirette a diminuire i poteri attribuiti alla capogruppo.

Come si ebbe a dire in queste pagine, le vere novità della normativa secondaria che dovrà disciplinare la riforma delle Bcc sembrano rinvenibili nell’introduzione dei concetti di meritocrazia nella governance delle Bcc e della capogruppo. La stessa Bce, non solo sembra condividere tali innovazioni, ma, al paragrafo 3.3 del parere datato 31 agosto 2016, propone di estendere il processo di selezione basato sul merito previsto per gli organi sociali anche ai manager che occupano posizioni chiave nella capogruppo e negli eventuali sottogruppi territoriali, sino a prevedere obblighi supplementari di rotazione per assicurarne l’indipendenza.

Interessanti anche le proposte Bce di integrazione normativa che prevedono una gestione accentrata delle sofferenze nella capogruppo e il conferimento alla capogruppo di specifici poteri di approvazione di operazioni di concessione dei finanziamenti eccedenti una determinata percentuale dei fondi propri, così come la precisazione, tra l’altro già prevista nel progetto di gruppo bancario presentato lo scorso anno da Cassa Centrale Banca S.p.A., che l’attività di controllo della capogruppo dovrebbe essere fondata su un sistema di indicatori progressivi secondo un approccio c.d. “a semaforo” (traffic-light approach).
Rassicurante, inoltre, la richiesta di precisazione che Bce fornisce per le ipotesi di esclusione dal gruppo bancario cooperativo, sebbene la medesima ricerca di certezza giuridica fosse auspicabile anche per le ipotesi di recesso.

Infine, la lettura sistematica di alcune specificazioni normative e proposte integrative contenute nel parere Bce sembrerebbero scoraggiare la costituzione di un unico grande gruppo bancario cooperativo o, quanto meno, appaiono in grado di allertare sufficientemente l’eventuale potenziale candidata capogruppo circa le difficoltà e la capacità di gestire un mega-gruppo costituito da oltre 300 banche, gruppo che, tra l’altro, si configurerebbe come il più grande al mondo in termini di banche controllate; basti pensare che Unicredit e Intesa Sanpaolo sono composti, rispettivamente, da 27 e 22 banche e che il gruppo facente capo alla ICBC di Pechino, la banca più grande al mondo per attività, risulta formato da appena 24 banche operanti su scala globale.

In effetti, nelle osservazioni di carattere generale, dopo aver definitivamente sancito che i poteri della capogruppo sono finalizzati ad assicurare unità di direzione strategica e unità del sistema dei controlli interni del gruppo bancario cooperativo, al par. 2.3 la Bce, come peraltro ribadito nel precedente parere del 24 marzo 2016, asserisce che la costituzione di un gruppo bancario cooperativo pone la capogruppo di fronte a sfide significative in termini di gestione del rischio e sistemi di controllo, aggiungendo che la capogruppo dovrebbe poter dirigere e coordinare il gruppo, anche impartendo istruzioni dirette alle banche affiliate in ogni circostanza (immaginiamo ad oltre 300 banche) al fine di assicurare l’osservanza delle norme prudenziali e dei requisiti di vigilanza applicabili e garantire che le operazioni e le strategie dei componenti del gruppo bancario cooperativo (ossia le oltre 300 Bcc) siano in linea con le politiche e gli obiettivi di quest’ultimo.

Inoltre, la proposta Bce, di cui al paragrafo 3.5, di introdurre un termine stringente (non oltre tre anni dalla data di stipula del contratto di coesione) per la realizzazione di un sistema informativo unificato, non appare certo agevolativa nell’ipotesi di gruppo bancario cooperativo unico, ossia composto da oltre 300 Bcc che, attualmente, condividono almeno quattro diversi sistemi informativi. Rispetto alla previsione di Bankitalia, la quale impone unicamente alla capogruppo e alle Bcc aderenti al gruppo di dotarsi di meccanismi di integrazione dei sistemi informativi e dei processi di gestione dei dati, nel caso di gruppo unico, la proposta Bce imporrebbe, quindi, un impegno in termini di investimenti e risorse dedicate assai rilevante che potrebbe ritardare altre azioni di efficientamento e razionalizzazione.
Anche il richiamo alle già note e rigide norme europee, di cui al paragrafo 3.9, per il procedimento amministrativo che una banca candidata a diventare capogruppo deve seguire per costituire un gruppo bancario cooperativo “significativo” ai fini del Meccanismo di vigilanza unico, sembrerebbe voler disincentivare la costituzione di grandi gruppi cooperativi che saranno soggetti alla vigilanza della Bce e per i quali si richiedono solidi dispositivi di governance.

In considerazione di quanto sopra, tenuto conto dei rischi e della difficoltà, quanto meno in termini organizzativi e manageriali, di gestire gruppi integrati composti da tante banche, ci si chiede se anche in ambito europeo, così come accaduto nel sistema bancario americano a seguito della crisi della Lehman Brothers, si stia modificando quella visione per la quale si osteggiano le piccole banche per privilegiare la grande dimensione ed i grandi gruppi bancari. D’altronde, un sistema bancario concentrato su pochi grandi gruppi accrescerebbe anche il rischio sistemico.


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