Sostiene Eugenio Scalfari: dobbiamo ridurre il cuneo fiscale. Vale a dire quella differenza tra il costo del lavoro e quanto rimane in busta paga, che uccide ogni possibilità di sviluppo. La riduzione – continua il fondatore di Repubblica – deve essere consistente. In un primo tempo lui stesso aveva ipotizzato di dimezzarlo: costo 150 miliardi. Una cifra eccessiva. Si potrebbe allora pensare ad una riduzione più contenuta: almeno del 30 per cento. “Il che significa in cifre assolute tra gli 80 e i 90 miliardi che lo Stato dovrebbe fiscalizzare”. Uno shock positivo per un’economia che si rifiuta testardamente di crescere. Ma anche un rimedio estremo che fa impallidire le proposte governative, che si limitano ad una tosatura di “3 punti” nel 2017. Pannicelli caldi.
Difficile non condividere questa proposta, se non recasse, al suo interno, un’insanabile contraddizione. Come si copre quel costo, che equivale a più di 5 punti di Pil? Scalfari propone di colpire i redditi superiori a 120 mila euro l’anno. “Siffatti redditi – osserva – riguardano ancora un numero rilevante di contribuenti e quindi il peso della fiscalizzazione non è enorme ma (bontà sua) notevole”. Si tratterebbe, in definitiva, di introdurre “una sorta di imposta patrimoniale che attenua le disuguaglianza e incita occupazione e consumi”. Peccato solo che, a sostegno di queste argomentazioni, non vi sia uno straccio di prova. Né il tentativo di misurarsi con i dati di fatto della realtà italiana.
L’Agenzia delle entrate pubblica ogni anno come si distribuisce il carico fiscale dell’Irpef tra i diversi contribuenti, per classi di reddito. Gli ultimi dati si riferiscono al 2014. Ma da allora la situazione non è poi così cambiata. Possono costituire, pertanto, la base di successive elaborazioni. Allora, le entrate complessive dell’Irpef ammontarono a circa 164 miliardi. Dallo spacchettamento effettuato, per classi di reddito, risulta che i contribuenti con un imponibile fiscale superiore a 120 mila euro all’anno furono pari a 269.093 unità, sul oltre 40 milioni di contribuenti. Lo 0,66 del totale. Con un gettito fiscale di circa 1,08 miliardi di euro. Come sia possibile estrarre da questa ridotta platea quegli “80 o 90 miliardi che lo Stato dovrebbe fiscalizzare” rimane un grande mistero.
Se si vuole perseguire quella prospettiva, quindi, bisognerà scendere di molto. E colpire con una maggiore tassazione tutti coloro che hanno un reddito superiore ai 20 mila euro all’anno. Solo così il maggior prelievo sarà in grado di garantire quell’abbattimento del cuneo fiscale ipotizzato da Scalfari. È il dramma italiano: dove i super ricchi – quelli noti al fisco – sono una piccola minoranza, mentre la base del ceto medio è particolarmente estesa. Il che spiega la prudenza con cui il Governo maneggia la scure del livellamento sociale. Sia che si tratti di redditi, sia di pensioni. Non si dimentichi, infatti, che il contributo di solidarietà a carico dei pensionati più ricchi, sui quali grava un’aliquota marginale vicino al 70 per cento (addizionali regionali e comunali incluse), ha dato un extra gettito di qualche decina di milioni. Non può, quindi, essere questa la soluzione . Non lo può essere sul piano economico e finanziario. Ma soprattutto da un punto di vista politico.