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Test nucleare, cosa ha combinato veramente la Corea del Nord?

La Corea del Nord ha effettuato nella notte appena trascorsa (2:30 ora italiana, le nove e mezzo di mattina a Pyongyang) il suo quinto test atomico. I giapponesi e i sudcoreani hanno confermato l’esplosione, registrando un terremoto di magnitudo 5.3 attorno al sito nucleare di Punggye-ri, nel nordest del Paese, anticipando di qualche ora l’annuncio ufficiale.

È stata infatti la solita giornalista in rosa Ri Chun-hee a parlare dalla Tv di stato KCTV per dichiarare che il test è stato “effettuato con successo” e che rappresenta un ulteriore step nel contrastare quella che definisce l’ostilità dei nemici del paese: “Questa è la nostra risposta a potenze ostili, incluso gli Usa. Abbiamo inviato un messaggio che se i nemici ci attaccano, possiamo contrattaccare”.

Si tratta del secondo test atomico effettuato nel 2016 (gli altri nel 2006, 2009, 2013), ma quello esploso nella notte è di potenza superiore all’altro del 6 gennaio secondo i dati registrati: in quell’occasione i nordcoreani annunciarono di aver provato una bomba H, ma gli analisti erano stati scettici sul rivendico. La bomba esplosa, scrivono i media internazionali come la BBC, potrebbe avere potenza di 10 kilotoni, per paragone quella di Hiroshima era 15, e sarebbe l’ordigno più potente testato dal Nord. Nell’annuncio ufficiale Pyongyang ha fatto sapere che gli scienziati nucleari nordcoreani sono riusciti a standardizzare le testate e sono pronti per la produzione in serie: il punto è su cui ruotano le analisi sulla minaccia è la capacità di miniaturizzazione, ossia rendere le testate applicabili a un missile intercontinentale. Per il momento le intelligence che monitorano costantemente con osservazioni satellitari i siti nevralgici del paese, gli stessi che avevano registrato nei giorni scorsi attività anomale a Pungyye-ri, sostengono che questo progresso tecnico ancora non sia stato raggiunto.

C’è sempre molta propaganda negli annunci del regime guidato da Kim Jung Sun; per esempio, come ricordato da Guido Olimpio sul Corsera, il test “è coinciso con il 68esimo anniversario della creazione della satrapia orientale” e il presidente Kim “potrebbe aver deciso di celebrare la ricorrenza con l’ennesima prova di forza”, un modo insomma per festeggiare la fondazione del regime con una proclamazione di potenza. Però, nonostante i continui progressi tecnologici sostenuti dal regime siano spesso bluff e proxy propagandistici, negli ultimi anni Pyongyang ha dato dimostrazione di essersi evoluta parecchio sul piano militare, con lanci di missili balistici a vario raggio, alcuni dei quali sono stati camuffati da vettori per satelliti, sono stati testati a marzo, e potrebbero avere gittata intercontinentale.

L’ultimo test, sotto forma di provocazione, c’è stato il 5 settembre: mentre al G20 cinese di Hangzohu era in corso il bilaterale tra primo ministro italiano Matteo Renzi e la presidente sudcoreana Park Geun-hye, dalla Corea del Nord sono stati sganciato tre missili balistici che sono entrati nella Air defense identification zone (Adiz) giapponese e ricaduti nel Mar del Giappone, mentre una settimana prima c’era stato il test di un altro missile fatto partire da un sottomarino.

È una prova muscolare continua, che l’Occidente prende in considerazione a fasi alterne, mentre i paesi regionali la vivono come una minaccia impellente. Il presidente americano Barack Obama ha parlato di “serie conseguenze” se non finiranno “queste provocazioni”, ma al di là di stringere le già pesantissime sanzioni in sede di Consiglio di Sicurezza Onu pare impossibile andare: il CdS nel 2006 ha già proibito al Nord di effettuare test connessi al programma atomico militare. È in ballo la possibilità di bloccare l’approvvigionamento di combustile, ma il rischio è di mettere in difficoltà i civili. “Incoscienza maniacale” è il commento della sudcoreana Park, “un atto ingiustificabile e intollerabile” ha detto il premier giapponese Shinzo Abe, “risoluta opposizione” al test ha fatto sapere la Cina tramite il ministro degli Esteri, ribadendo l’intenzione di voler “denuclearizzare l’intera penisola coreana”, e questo forse è uno dei pochi segnali positivi, visto che Pechino è l’unico, nervoso alleato di Pyongyang – “Il paese più isolato del mondo” lo ha definito Giulia Pompili, giornalista che sul Foglio si occupa di Oriente. Ma c’è un problema: Cina e Stati Uniti si stanno allontanando a causa di varie situazioni – due esempio: le alleanze americane con i paesi nemici di Pechino sulle dispute territoriali nel Mar Cinese, la questione dell’acciaio – e questo complica la situazione. I cinesi temono che la caduta di Kim possa portarsi dietro un vuoto di potere e un conseguente periodo di destabilizzazione, spiega Steve Evans l’inviato a Seul della BBC.

(Foto, archivio Facebook di Guido Olimpio, il presidente Kim e il suo entourage)


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