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Che cosa succede davvero fra Trump e Netanyahu

Uno è l’artefice del governo più a destra della storia del giovane Stato ebraico. L’altro è, senza dubbio, il candidato repubblicano più sui generis che gli Stati Uniti abbiano mai visto correre per il titolo di presidente, a tal punto che anche tra i repubblicani doc c’è chi non ha esitato a criticarlo fortemente e a negargli il proprio supporto. Si tratta di Benjamin Netanyahu, primo ministro di Israele e leader del Likud, e Donald Trump, magnate del settore immobiliare, da qualche mese divenuto politico e, addirittura, aspirante presidente.

A pochi giorni di distanza dal primo dibattito tra i due candidati, che si terrà stasera alle 21 (ora locale), Bibi li ha incontrati entrambi, domenica, a New York.

L’INCONTRO A TRUMP TOWER

Dopo l’incontro tra Netanyahu e Trump, avvenuto domenica mattina presso Trump Tower, e durato più di un’ora, alcuni responsabili della campagna elettorale del magnate hanno dichiarato che “il candidato e il primo ministro si conoscono da molto tempo e che hanno avuto l’opportunità di
discutere di molti argomenti, cari a entrambi i Paesi”, riporta il sito di Fox News, emittente vicina al magnate. “Il signor Trump ha riconosciuto che Israele e il suo popolo hanno sofferto a lungo e in prima linea gli effetti del terrorismo islamico […] Lui è d’accordo con il primo ministro Netanyahu sul fatto che il popolo israeliano voglia una pace duratura con i suoi vicini e che questa possa essere raggiunta solo quando i palestinesi rinunceranno all’odio e alla violenza a riconosceranno Israele in qualità di Stato ebraico”, hanno proseguito i responsabili.
Infine, con quella che suona come la più vincolante delle promesse – data l’assoluta importanza che il tema ha per Israele – Trump si è esposto, e parecchio, dichiarando che, se eletto presidente, riconoscerà Gerusalemme come capitale indivisibile dello Stato di Israele. Questo costituirebbe un’inversione di rotta prepotente nella politica adottata dagli Stati Uniti, fin dalla fondazione di Eretz Yisrael, la terra di Israele. “La sede della rappresentanza diplomatica a stelle e strisce in Israele si trova attualmente a Tel-Aviv e, ufficialmente, il Paese non riconosce Gerusalemme come parte di alcuno stato”, scrive il sito dell’emittente radiofonica Npr.

Oltre a compiacere il premier israeliano, facendo la promessa delle promesse, per quanto queste possano valere quando si parla di Donald Trump, i due hanno anche discusso di lotta allo Stato islamico, del supporto militare dato dagli Stati Uniti a Israele – un “investimento eccellente”, secondo Trump – e dell’accordo nucleare raggiunto con l’Iran, criticato dai repubblicani, figuriamoci dalla destra israeliana. Insomma, un repertorio con il quale sarebbe stato difficile fare qualche mossa sbagliata, date le posizioni di Israele a riguardo.
L’incontro tra Bibi e i due candidati, non a caso avvenuto a ridosso del dibattito di stasera, nasce tanto dalla volontà di Israele di intessere buoni rapporti con quello che sarà il nuovo presidente degli Stati Uniti, quanto dal desiderio dei candidati di ottenere il sostegno dello Stato ebraico, suo storico alleato, soprattutto dopo gli alti e bassi che ci sono stati tra Washington e Gerusalemme durante l’amministrazione Obama.

UN IDILLIO (FORSE) SOLO APPARTENTE

Il primo quotidiano israeliano a dare la notizia dell’incontro è stato Haaretz. “Un funzionare del governo israeliano ha dichiarato che l’incontro tra Netanyahu e i candidati si è materializzato in meno di 24 ore, venerdì, a partire da una telefonata tra un assistente di Trump e alcuni consiglieri del primo ministro. Una volta chiaro che ci sarebbe stato un possibile incontro tra i due, l’ufficio di Netanyahu ha contattato quello della Clinton per chiedere di fissare un appuntamento anche con lei, al fine di essere equo”, si legge sul quotidiano. “Netanyahu ha impostato la sua politica, negli ultimi mesi, in modo tale da mantenere un asssoluto equilibrio nei suoi contatti con i due candidati in corsa per la casa bianca”, prosegue Haaretz.
Nel 2012, dopo aver lasciato intendere di sostenere l’allora candidato repubblicano Mitt Romney, rivale di Obama, con il quale poi le relazioni sono state piuttosto controverse, Netanyahu ha deciso di essere super partes, così da non condizionare, a priori, le relazioni con quello che sarà il futuro presidente degli Stati Uniti.

In realtà, però, la situazione è più complessa. Questa estate Donald Trump avrebbe dovuto visitare Israele, tuttavia il viaggio è stato annullato dopo che Netanyahu ha criticato la proposta del magnate di voler impedire ai musulmani di entrare negli Stati Uniti. Il che è tutto dire per uno che la sa altrettanto lunga in quanto a maniere forti. Così come il magnate dell’immobiliare vorrebbe costruire un muro al confine tra gli Stati Uniti e il Messico, in Israele un muro simile, che divide Gerusalemme in due, già c’è e tra l’altro la costruzione fu avviata proprio durante un governo guidato dal Likud.
L’estremismo di Trump, dunque, sembrerebbe essere eccessivo anche per uno come Netanyahu. Ma non solo. Quest’anno, in occasione dall’Aipac (l’American Israel Public Affairs Committee) – che si è svolta dal 20 al 22 marzo a Washington Dc, presso il Verizon Center – Trump è stato in grado di radunare molti più contestatori di quanto non sia mai successo in precedenza. “Trump dà fastidio ai membri dell’Aipac non per le sue posizioni nei confronti degli Ebrei o di Israele, ma per i suoi continui attacchi nei confronti delle minoranze. […] Sono le sue violente e volgari personali diatribe, il uso razzismo e la sua misoginia, […] così come le sue frequenti istigazioni alla violenza che hanno reso Trump tossico anche per un soggetto di destra come l’Aipac”, commentava Haaretz.

Trump, in nome del sostegno dato a Bibi in occasione delle elezioni del 2013, si aspetta che il premier israeliano colga l’occasione per ricambiare il favore. Se da un lato Netanyahu non vorrebbe mettere a repentaglio i rapporti con Hillary Clinton, dall’altra potrebbe avvertire la pressione esercitata dal ricchissimo, e di origine ebraica, Sheldon Adelson, storico alleato di Netanyahu e ora finanziatore della campagna elettorale di Trump. Sebbene non sia un segreto la longeva preferenza di Netanyahu per i candidati repubblicani, c’è da mettere in conto che Trump non è Romney e che a dare problemi sono anche alcuni dei suoi sostenitori, tra i quali è stato registrato un allarmante livello di antisemitismo, scrive il Jerusalem Post.

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