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Unicredit, Intesa Sanpaolo e non solo, ecco chi ha sofferenze e costi più alti fra le banche italiane

Che le banche italiane siano le “grandi malate” del paese è cosa nota. Casi come Monte dei Paschi di Siena, con un piano di salvataggio pieno di difficoltà tutto da avviare, sono la dimostrazione di questa situazione. Al centro di tutto, ci sono i crediti deteriorati, i tanto spaventosi npl (non performing loan), che provocano veri e propri buchi nei bilanci degli istituti di credito per via dello scarto tra la loro valutazione e il loro prezzo di mercato. Come se ne esce? Le banche sono al lavoro essenzialmente su due fronti: tagli dei costi, che il più delle volte passano per quelli del personale, e aumenti di capitale (Mps, per esempio, è alle prese con una ricapitalizzazione fino a 5 miliardi che verosimilmente però dovrà essere rivista al ribasso).

RISULTATI IN CALO

Il centro studi Orietta Guerra del sindacato della Uilca, in un recente report, ha fotografato la situazione attuale dello scenario bancario mettendo insieme i dati più recenti, al 30 giugno del 2016. Ebbene, secondo l’analisi, le undici principali banche italiane, che impiegano complessivamente 310 mila dipendenti, di cui 197 mila in Italia, evidenzia un risultato economico complessivamente positivo per 2.307 milioni di euro, “anche se in calo, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, per 1.989 milioni di euro”. Anche i ricavi sono complessivamente diminuiti, di 1.345 milioni, e i costi operativi di 176 milioni.

I COSTI DEL PERSONALE

Come detto, tra le iniziative per contrastare i risultati in calo, c’è un massiccio taglio dei costi, che spesso e volentieri riguarda sia quelli del personale sia quelli amministrativi. Un modo di operare che non convince la Uilca. “Pensare di migliorare i conti economici delle banche – dichiara il segretario generale Massimo Masi – agendo sulla diminuzione dei costi, quali le spese del personale (-188 milioni) e le spese amministrative (-85 milioni), è una soluzione di breve periodo che rischia, se non adeguatamente inserita in una fase di riposizionamento strategico dell’istituto di credito, di peggiorare la qualità del servizio offerto alla clientela e di non aumentare i ricavi”.

Ma vediamo quali sono le banche italiane che hanno dato un taglio maggiore alla voce “spese per il personale”. In cima alla lista figura la genovese Carige, con una riduzione di poco più del 18%, l’unico calo a doppia cifra. Tra chi ha tagliato di più ci sono anche il Banco Popolare (quasi il 5%), Unicredit (4,1%) e Ubi (-2,4 per cento). Al contrario, spicca per un incremento dei costi del personale la Popolare di Milano (+3,8%), seguita dal Credito Emiliano (+2,7%) e da Intesa Sanpaolo (+2,2%). Considerando le principali 11 banche italiane, nel complesso i costi per il personale sono stati tagliati dell’1,8 per cento.

IL NODO CREDITI DETERIORATI

Tra i grandi tasti dolenti, come detto, ci sono i crediti deteriorati che zavorrano i bilanci degli istituti. Per esempio, emerge sempre dallo studio della Uilca, di 360,24 miliardi di crediti netti, Intesa ne ha poco più di 32 miliardi di deteriorati. Unicredit, l’altra big bancaria italiana, ne ha quasi 37 miliardi, dunque di più, su una fetta di prestiti netti molto più ampia, pari a quasi 490 miliardi. Mps ne ha 23,6 su 107,55 miliardi; il Banco Popolare 13,5 su quasi 80; Ubi 8,5 su 83,9 miliardi di crediti netti. Andando ad analizzare gli npl, si scopre che il 46,9% di quelli di Intesa è rappresentato da vere e proprie sofferenze (il grado più rischioso per la banca), mentre per Unicredit la percentuale sale al 53,7% e per Mps, contrariamente a quello che si possa pensare, scende a quasi il 45 per cento. Da notare che l’istituto senese guidato da Marco Morelli è alle prese con la cessione di un maxi pacchetto di sofferenze del valore lordo di 27 miliardi al prezzo di 9,2 miliardi, operazione destinata a cambiare completamente questi numeri.

IL PROBLEMA DEL PREZZO

“I crediti deteriorati nel sistema bancario – commenta Roberto Telatin, responsabile del centro studi Uilca Orietta Guerra – sono un problema che riduce la redditività delle banche; nei primi sei mesi del 2016 abbiamo avuto perdite su crediti per 7.276 milioni di euro e questo si riflette sulla possibilità di concedere credito. Le sofferenze nette nelle banche della nostra ricerca sono pari a 63,8 miliardi di euro e ammontano al 5% dei crediti netti. Il loro grado di copertura medio è del 58,8%, evidenziando un valore (prezzo) di bilancio medio netto pari 41,2% del valore nominale, molto superiore ai valori (prezzi) medi di mercato per i quali oggi sono ceduti i non performing loan”. Telatin centra proprio il problema con cui il settore italiano del credito deve confrontarsi: alzare il prezzo di mercato degli npl in modo da non dovere sopportare perdite nel momento in cui li si cedono. In questo senso, la cessione del pacchetto di sofferenze di Mps, al prezzo del 33% corrispondente ai 9,2 miliardi di cui sopra (contro il 37% circa della valutazione a bilancio), sarà da monitorare attentamente, perché se avrà successo rappresenterà un passo molto importante in questa direzione.


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