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Vi racconto le ultime amnesie di Renato Brunetta su D’Alema, Monti e Raggi

Della penosa crisi dei grillini, che annaspano in Campidoglio fra dimissioni, pasticci e bugie sulle indagini prima negate e poi ammesse a suo carico dall’assessora all’ambiente, cioè ai rifiuti, pare che non gliene importi nulla al capogruppo forzista alla Camera Renato Brunetta. Che pure nei 15 giorni trascorsi nel mese di giugno fra il primo e il secondo turno delle elezioni capitoline comprese e incoraggiò le tentazioni a destra di votare per la pentastellata Virginia Raggi piuttosto che per il piddino e renziano Roberto Giachetti. Altro che l’astensione raccomandata da Silvio Berlusconi, allora in ospedale.

L’incontenibile Brunetta è preso solo dall’altrettanto incontenibile assalto a Renzi e alla sua riforma costituzionale. Un assalto nel quale non si risparmia alleati. Egli è ossessionato dall’obiettivo di abbattere un presidente del Consiglio che ha definito recentemente, in una lettera a Giuliano Ferrara, “un accidente della storia”. Uno che “ha saputo solo approfittare delle contingenze non usando moralità ma pura volontà di dominio, azzardo morale sempre e comunque”, “non una evoluzione della sinistra”, non “’c’entrando nulla con la sinistra”, ma “un opportunista fortunato per la sfortuna dell’Italia”.

“Fare accordi con lui –ha sempre scritto il capogruppo forzista a Ferrara a proposito di Renzi- significa legarsi una macina al collo prima di tuffarsi”. “Piuttosto che stringere patti con lui –sempre parole di Brunetta sul Foglio del 31 agosto- occorre fare accordi con tutti quelli che votano no al governo del Fiorentino”. E qui, contenendosi per un attimo nella “nostra area”, il buon Renato ha svegliato dal coma politico un po’ di persone, fra cui anche qualcuno precedentemente liquidato da lui qualche tempo fa come “traditore”: Raffaele Fitto, Mario Mauro, Lorenzo Cesa, Gaetano Quagliariello, Gianfranco Rotondi, Francesco Storace, “i liberali di Stefano De Luca”, e naturalmente i Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni e soprattutto i leghisti di Matteo Salvini, dai quali ogni volta che Berlusconi si è separato nelle scelte “ha consegnato i nostri elettori allo sconcerto, all’antipolitica e all’astensione”.

Probabilmente esterrefatto, lui che considera Renzi il “royal baby” dell’ormai ex Cavaliere, Ferrara ha evitato ogni commento a questa lettera scommettendo su qualche altro corsivo di Andrea Marcenaro. Che da tempo sfotte Brunetta nella sua rubrica quotidiana di prima pagina dal titolo di sapore letterario “Andrea’s version”. Ma anche Marcenaro è rimasto senza parole, per cui i lettori del Foglio si sono dovuti accontentare di una lettera ben scritta e ragionata di Giuliano Cazzola, che però si è contenuto nella polemica per non compromettere i dichiarati “30 anni di amicizia” col suo ex capogruppo.

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A furia tuttavia di battersi contro Renzi e la sua riforma, Brunetta si è messo a inseguire anche i due esponenti che di più lo hanno offeso nella propria avventura politica. Uno è Mario Monti, che quand’era presidente del Consiglio, sentendosi infastidito dalle sue critiche, lo derise in televisione parlando della sua “alta statura”. Che notoriamente non è alta per niente. Né Monti voleva alludere a quella di economista, che Brunetta considera altissima, tanto da sentire di meritarsi, senza scherzare, il premio Nobel. L’altro è Massimo D’Alema, che reagì una volta agli urticanti attacchi del capogruppo forzista di Montecitorio definendolo “un bastone tascabile”, sempre per via della sua statura fisica.

Ora, di Monti e della sua “perversa intelligenza” Brunetta si è appena compiaciuto per avere sostenuto a Cernobbio che la riforma tanto decantata da Renzi non rientra per niente fra quelle che ci avrebbe chiesto l’Europa per ammodernare il Paese e aumentarne l’efficienza. La ministra Maria Elena Boschi, che proprio a Cernobbio era andata a sostenere il contrario riscuotendo il plauso dell’uditorio, c’è rimasta naturalmente molto male ed ha inutilmente tentato di ricordare all’ex presidente del Consiglio la velocità con la quale, proprio per aderire alle attese e richieste d’Europa, egli si prodigò per modificare la Costituzione e inserirvi il pareggio di bilancio. Brunetta non ha voluto sentire ragione, dando ragione a Monti e torto alla Boschi.

Ma di Monti il capogruppo forzista ha apprezzato anche le preoccupazioni per la troppa flessibilità concessa da Bruxelles ai conti italiani, e sprecata da Renzi, secondo lui, con bonus di sapore elettorale e con l’esenzione delle prime case dall’Imu, che pure è sempre stata una bandiera di Berlusconi.

Probabilmente Brunetta ha perdonato a Monti anche il merito rivendicato di avere sottratto nelle ultime elezioni politiche al centrodestra, con le sue pur fragili liste di “Scelta civica”, quel 10 per cento dei voti che sarebbero serviti a Berlusconi per vincere alla grande il rinnovo delle Camere e salire al Quirinale. Dove, francamente, sarebbe stato difficile che la Cassazione volesse e potesse detronizzarlo con quel curioso, anomalo ricorso alla sezione feriale per evitare la prescrizione imminente e comminargli una condanna definitiva per frode fiscale: a lui, poi, che era ed è fra i maggiori, se non il maggiore contribuente italiano. Ah, quanto debole è diventata la memoria di Brunetta, che pure si è fatto il conto preciso dei colpi di Stato che l’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano avrebbe compiuto contro il suo “unico” e “imprescindibile” leader, come egli chiama Berlusconi facendo smorfie e dispetti al pur “amico” Stefano Parisi, sospettato di volergli insidiare la corona.

Figuriamoci come dev’essere rimasto male Brunetta apprendendo del felice resoconto appena fatto da Parisi a Berlusconi sulla missione affidatagli di “migliorare l’offerta politica di centrodestra”. E polemicamente tradotta dall’ex ministro Altero Matteoli nel progetto di fare di Forza Italia “una Confindustria di serie B”. Immagine che al capogruppo della Camera sarà piaciuta moltissimo.

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Già forte nei mesi scorsi, quando se ne avvertirono le prime uscite, deve essere stata irresistibile per Brunetta l’attrazione per gli argomenti appena usati nel cinema Farnese di Roma da Massimo D’Alema contro Renzi e il “Partito della Nazione” coltivato col referendum costituzionale. Di cui l’ex presidente post-comunista del Consiglio, come anche Brunetta, ha denunciato il “furbesco” ritardo nella fissazione della data. Che ora, in effetti, la ministra Boschi ha ipotizzato anche per dicembre, e non solo a fine novembre.

Si voterà con la neve, ha gridato Il Fatto. Ma sulla neve Brunetta va forte, anzi fortissimo. Quando scende dalle piste, non c’è nulla che lo possa fermare se non un cartello che gli annunci la fine di Renzi.


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