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Vi racconto manovre e furbizie di leader e leaderini sull’Italicum

Un po’ per effetto del rinvio dell’esame della legge elettorale alla Corte Costituzionale a dopo il referendum costituzionale, un po’ per la discussione e le votazioni sulle mozioni parlamentari riguardanti questa materia, i giocatori della partita hanno dovuto calare le loro carte. Non hanno potuto più coprirsi, in vista del referendum costituzionale, che formalmente non la riguarda ma in realtà ne è fortemente condizionato, dietro l’attesa del giudizio dei giudici del Palazzo della Consulta sulla legge per l’elezione della Camera. Una legge tanto voluta da Renzi da farla approvare a suo tempo mettendo la fiducia, e nota come Italicum.

I più lesti e furbi, bisogna riconoscerlo, a dispetto dello stato confusionale in cui si trovano in Campidoglio e dintorni, sono stati i grillini. Che, pur con tutto l’interesse a difendere l’Italicum con il suo ballottaggio e il premio di maggioranza, avendo appena vinto con un sistema analogo le elezioni amministrative in città come Roma e Torino, dove i loro candidati sono riusciti con aiuti da destra e da sinistra a sconfiggere quelli del Pd di Matteo Renzi, lo hanno ripudiato.

In verità, i grillini sul piano formale non avevano mai sostenuto e tanto meno votato l’Italicum, approvato quando le loro fortune elettorali non erano ancora così vistose come sono poi diventate, ma si era convinti che per convenienza essi lo avrebbero adesso difeso. O non avrebbero aiutato altri a modificarlo. Invece, hanno proposto addirittura il sostanziale ritorno al sistema elettorale della vecchia, prima Repubblica: proporzionale, preferenze e nessun premio di maggioranza.

Già l’avere spiazzato tutti ed avere dato l’impressione di disinteresse, preferendo un Parlamento più rappresentativo alla prospettiva di una loro vittoria in un Parlamento in cui le maggioranze si formano con pugno di seggi regalati come premio, ha dato al movimento 5 Stelle una posizione propagandistica di vantaggio. Se ne sono visti gli effetti nel salotto televisivo di Lilli Gruber, a La 7, dove il deputato grillino se l’è cavata abbastanza bene, pur essendo praticamente solo contro gli altri due ospiti – Gianfranco Fini e Vittorio Zucconi – e la stessa conduttrice.

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Ma come tutte le stelle, che sono troppo lontane per averne una visione reale a occhio nudo, i grillini sono riusciti a nascondere con la tattica –che equivale alla distanza di cui dicevo a proposito degli astri – i loro veri interessi. Che possono essere visti e letti in vario modo.

Innanzitutto, sposando il sistema elettorale proporzionale senza premio di maggioranza, essi hanno voluto rimanere soli, come hanno sempre fatto, ricavandone anche per questo vantaggi elettorali. Meglio soli, si dice, che male accompagnati. Essi rifuggono dalle alleanze per proclamarsi orgogliosamente diversi dagli altri.

In secondo luogo, viste le difficoltà incontrate nella gestione del Campidoglio, ma anche altrove, e consapevoli che esse sarebbero ben maggiori a livello nazionale perché il loro movimento dispone di una classe dirigente troppo improvvisata, per la cui formazione ci vuole tempo, i grillini possono non avere più fretta di vincere le elezioni politiche. Può loro bastare un altro bel po’ di opposizione contro rivali peraltro in affanno, sia a destra, sia a sinistra e sia naturalmente al centro. Ma centro, poi, di che cosa se sinistra e destra sono sempre più fluide?

Forse c’è troppa malizia in queste letture o interpretazioni della mossa dei grillini, pur abile sul piano propagandistico. Ma sfido chiunque a dimostrare, numeri parlamentari alla mano, che la proposta pentastellata del sistema proporzionale e del ritorno alle preferenze abbia una minima possibilità di passare. E lo dico da proporzionalista, e sostenitore delle preferenze, convinto. Ben prima che i grillini scoprissero l’utilità del sistema proporzionale, o Eugenio Scalfari lo rivalutasse, come ha fatto nell’ultimo editoriale festivo sulla sua Repubblica, dopo avere tanto sostenuto negli anni 90 i referendum anti-preferenze e anti-proporzionale di Mario Segni. Al quale proprio per questi meriti furono aperte le porte del giornale scalfariano, che prima lo aveva trattato come un deputato democristiano troppo conservatore e anticomunista.

Il sistema proporzionale, come ha ricordato appunto Scalfari, ha consentito alla Dc di governare con diversi alleati per quasi mezzo secolo l’Italia, forse facendo e disfacendo –aggiungo io- troppi governi, ma con risultati, quanto a benessere e riforme, francamente migliori di quelli della cosiddetta seconda e addirittura terza Repubblica, con tutte le debite differenze naturalmente tra i problemi e i quadri internazionali dei vari momenti.

Delle preferenze, si è detto e scritto come di veicoli di corruzione. Ma io non mi sono mai venduto un voto. E chi aveva l’abitudine di farlo, non importa se al Sud, al Nord o al Centro, ha continuato a venderselo anche col collegio uninominale, le liste bloccate e quant’altro. Cerchiamo di essere onesti e smettiamola di prenderci in giro.

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Adesso che i grillini hanno messo giù le loro carte, truccate o vere che siano, Matteo Renzi non potrà a lungo aspettare che le mettano anche gli altri, magari più chiaramente e sinceramente di quanto non abbiano fatto sino ad ora. Il presidente del Consiglio dovrà mettere giù anche le sue, di carte, e dire finalmente a che cosa sia disposto davvero a rinunciare per acquisire nel referendum sulla sua riforma costituzionale i voti di chi li ha condizionati al cambiamento della legge elettorale.

Ciò comporta uno scambio politico trasparente, augurabilmente migliore di quello assai bizzarro riferito da alcuni giornali, e francamente inaccettabile se risultasse vero, fra il sì degli elettori della Volkspartei alla riforma costituzionale e la denominazione solo tedesca delle strade e località in Alto Adige.


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