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Vi spiego pregi e difetti dell’accordo sulle pensioni

Resto convinto che le pensioni non siano una priorità nell’attuale fase della vita del Paese. Soprattutto non mi sembra il caso di pretendere un’ulteriore flessibilità del deficit dalla Ue allo scopo di aumentare la spesa pubblica in un settore delicato – e vigilato – come la previdenza. Tuttavia, dal punto di vista politico, l’accordo del 28 settembre – per quanto ancora generico in molti aspetti cruciali, tra cui la c.d. Ape sociale – costituisce un successo politico sia per il Governo che per i sindacati. Le confederazioni sono rientrate in gioco in una materia per loro importante (dal momento che, per mesi, non hanno parlato d’altro nel confronto con l’Esecutivo). Il che è positivo, visto che i dirigenti sindacali sono persone responsabili e che, fino ad oggi, le rivendicazioni dei pensionati sono state gestite (anzi, agitate come una clava) dai conduttori dei talk show (che si sentono responsabili solo dell’audience, anche a costo di avvelenare i pozzi del vivere civile). Dal canto suo, il Governo è riuscito a farsi coprire le spalle dai sindacati, al riparo da tutti gli “Sparafucile” che hanno speculato per mesi con la demagogia sulle pensioni.

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Tutti gli osservatori sostengono che sarebbe prioritario ridurre le tasse e soprattutto tagliare il cuneo fiscale sul costo del lavoro. I sindacati hanno negoziato per mesi con il Governo, ma di questi problemi non si è parlato. Basti pensare che non si sa che fine faranno le misure sulla decontribuzione per le nuove assunzioni effettuate nel 2017. Aumentare, invece, la spesa pensionistica – anche se si provvede alla copertura finanziaria tramite la fiscalità generale – oltre che gravare sui conti pubblici, non è certo un toccasana per il costo del lavoro e per il recupero del gap di produttività.

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Una trappola può essere annidata nei benefici previsti per i lavoratori precoci ai quali è consentito l’accesso alla pensione con 41 anni di contributi se si tratta di disoccupati senza ammortizzatori sociali, di persone in condizioni di salute che determinano una disabilità e di lavoratori occupati in alcune attività particolarmente gravose. Se questi limiti dovessero saltare o divenire troppo ampi, ci sarebbe da temere per i conti pubblici, visto che i c.d. precoci (quanti hanno cominciato a lavorare almeno 12 mesi prima dei 19 anni) sono alcuni milioni.

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C’è poi il capitolo del ruolo delle banche e delle assicurazioni. Questi istituti saranno associati all’operazione Ape tramite apposite convenzioni. Ma si può obbligare un soggetto privato a concedere un prestito, se esso non ritiene sufficiente il quadro delle garanzie offerte da chi lo chiede ?

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Nell’accordo non si parla di esodati; il che ha suscitato molte preoccupazioni tra i comitati rappresentativi delle diverse situazioni della categoria. Credo, però, che il Governo e i sindacati, per quanto riguarda l’ottava salvaguardia, si siano tacitamente accordati per dare mano libera al Parlamento. Del resto, in una logica di “allegro pensionamento” non si capisce perché dovrebbero essere trascurati gli esodati, già beniamini prediletti dei media.

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Dai tempi del grande Franklin Delano Roosevelt i primi “cento giorni” di governo sono entrati a far parte della mitologia della buona politica, nel senso che, in quel lasso di tempo, i leader vincitori delle elezioni si sentono obbligati a mandare un segnale forte sulle proprie intenzioni programmatiche, allo scopo di alimentare al meglio la “luna di miele” con l’elettorato. I primi “cento giorni” di Virginia Raggi sono stati patetici: sprecati nel tentativo, vano, di costituire una Giunta in grado di dirigere l’amministrazione. Fino ad ora si sono persi solo pezzi per strada. Del resto, anche per gli assessori vige il principio del “dimmi con chi vai e ti dirò chi sei”.



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