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Che cosa unisce Vincenzo De Luca e i grillini

Il governatore della Campania, Vincenzo De Luca, ogni venerdì fa il punto della situazione politica in una trasmissione televisiva locale. Sotto la sigla alquanto enfatica di “Campania regione europea”, egli parla ampiamente dei fatti rilevanti della settimana, sia a livello locale che nazionale. Sollecitato dall’intervistatore, che come sempre in questi casi è più una “spalla” o un complice, nella puntata dell’altro ieri il governatore si è dilungato sulla situazione di Roma e in genere sulle performances dei grillini negli ultimi mesi. Egli ha detto cose abbastanza condivisibili, insistendo sulle contraddizioni e sull’inconcludente dilettantismo di un gruppo dirigente che si è presentato come la panacea di tutti i mali e che, a tre mesi dall’elezione quasi plebiscitaria a sindaco di Roma di un suo esponente, non è ancora riuscito ad abbozzare un minimo di politica governativa per una capitale ormai allo sbando.

Devo però dire che, nel vedere e ascoltare De Luca (“Dagospia” ha utilmente messo in linea la trasmissione), la cosa che ancora una volta più mi ha colpito è proprio la figura del governatore campano: il suo modo di parlare, la sua aggressività verbale, il suo contegno in verità poco “europeo” (per dirla con il titolo della sua trasmissione).

Credo che De Luca e i grillini siano la speculare immagine della crisi in cui è incorsa la politica nel nostro Paese. Come si fa, infatti, ad accusare i grillini di mancanza di dignità e di senso delle istituzioni quando a propria volta si è così sopra le righe? Sia chiaro, chi scrive è acerrimo nemico del “politicamente corretto”,  che considera uno dei sintomi più profondi della crisi che investe tutte le società occidentali. Né rimpiange l’incomprensibile parlare per perifrasi dei politici della Prima Repubblica. Crede però  fermamente in due valori o principi che hanno forte la nostra civiltà: la sobrietà borghese e l’arte liberale della separazione o distinzione. A un politico è permesso tutto, anche di essere sanguigno e duro contro i suoi avversari, e ovviamente di essere fazioso e di parte, ma quando viene a ricoprire un ruolo istituzionale, piccolo o grande che sia, deve dismettere i suoi panni e assumerne altri. Deve essere e mostrarsi imparziale, il che non significa indifferente, in una parola, deve assumere un contegno adeguato.

In certi ruoli non si può, come fa De Luca, definire “scorfane” le donne brutte, “mezze pippe” gli avversari (che pure in questo caso non brillano certo per perspicacia), confondere il “pubblico” col “privato” (che era quello che volevano certi sessantottini) o “mandare tutti a morire ammazzati”. È una questione di forma, ma, a costo di dire una banalità, la democrazia liberale è tutta una questione di forme: la forma è sostanza. È un po’ come i professori politicizzati che riempiono le nostre accademie, a cui non si deve contestare il fatto di avere certe opinioni ma di trasmetterle ai loro allievi in modo dogmatico. Il monito weberiano che “dalla cattedra non si fa politica” dovrebbe essere sempre valido. Quale, in definitiva, la causa, o una delle cause, di questo disfacimento della politica e della vita democratica? Credo sia, almeno in Italia, la mancanza del senso dello Stato, a cui hanno negli anni cooperato le ideologie “sostanzialistiche” che hanno dominato il campo. A cominciare ovviamente da quella “di sinistra” che a un certo punto ha sostituito quella marxista classica (per la quale il discorso è un po’ più complesso).

Credere nel senso dello Stato, o delle istituzioni, non significa ovviamente essere statalisti, come semplicisticamente alcuni sono portati a credere. Lo stesso liberismo auspicabile non esisterebbe senza uno Stato minimo ma garante dei diritti individuali di libertà. Uno Stato, o comunque un’entità che detenga in modo legittimo l’uso della forza. Gli uomini di Stato sono ormai politici che, tramite leggi sempre più pervasive e particolaristiche (Hayek parlava di l”legislazione”) vogliono garantire le loro clientele. In una parole, non sono uomini di Stato nel senso liberale che io intendo. E che forse, se avesse corso, eviterebbe, e non solo ai grillini, certi contegni più o meno pagliacceschi.


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