I mezzi di informazione continuano, con studiata enfasi, a dare risalto alle turbolenze che stanno impegnando il Sindaco Virginia Raggi al Comune di Roma. È inutile soffermarsi sulla radicalizzazione dello scontro tra le opposte fazioni in Campidoglio, dove esponenti del PD, alla stregua di illibati censori attaccano i reprobi malfattori del M5S. È più facile guardare la pagliuzza nell’occhio altrui che la trave nel proprio.
Infatti, il “partito democratico” artefice, con altri, dell’infinito marcio capitolino, oggi vorrebbe indossare gli abiti del moralizzatore per impartire lezioni di buon governo agli ultimi arrivati. Anacronistico, ridicolo, patetico semplicemente! Come detestabile e disgustosa si sta rivelando la faida all’interno del M5S. I cittadini romani hanno dato fiducia a questo movimento nelle elezioni comunali, perché si è proposto agli elettori come compagine in grado di perseguire con la propria azione di governo il bene comune, pertanto ne reclamano coerenza, onestà, trasparenza nei comportamenti. A loro poco importa delle beghe interne e delle assegnazioni dei posti a Tizio piuttosto che a Caio. I romani vogliono che il clima politico sia risanato e respirabile, e Virginia Raggi sia animata da tanto coraggio per essere la coerente interprete del cambio di rotta, in nome del quale è stata eletta primo sindaco donna di Roma.
La Raggi ha reso una dichiarazione che a molti o è sfuggita o è apparsa quasi insignificante, ma che ha, invece, una sua rilevante importanza. Ha detto che certe polemiche sono sorte perché all’interno dei gruppi di maggioranza i consiglieri comunali non sono coinvolti. Questo può apparire un dato marginale, ma è fondamentale. Molti consigli comunali vanno in crisi e vengono successivamente sciolti perché i sindaci, consultati i boss di partito, composte le giunte, scelti i consulenti di fiducia, vanno per la loro strada, senza tener conto dell’attività e delle proposte avanzate dai consiglieri comunali. Lo spauracchio dello scioglimento viene agitato in continuazione dai sindaci per sottrarsi alle loro richieste, un’arma di ricatto vera e propria, che produce un solco profondo tra rappresentanza popolare e gestione amministrativa. Una pratica imposizione (prepotenza?) dell’esecutivo sull’assemblea, che stravolge i tradizionali ruoli negli enti locali. Se i consigli comunali sono politicamente deboli, il sindaco fa quello che vuole, invece, se i consiglieri si fanno rispettare, si vivranno tempi molto difficili, fino al molto probabile scioglimento dell’amministrazione cittadina, con conseguente ritorno a casa di opposizione e maggioranza. A meno che non ci sia una efficace mediazione. È un costume che riguarda tutti i partiti, anche quelli dove l’appartenenza è sentita in maniera più concreta. Figurarsi in un movimento come i cinquestelle, dove i legami sono molto labili, visto il sistema di reclutamento della classe dirigente e considerate le forme di iscrizione degli aderenti.
Gli accadimenti romani evidenziano la necessità di porre mano alle correzioni del Testo Unico sugli Enti Locali, nella parte in cui si tratta dei poteri del sindaco, dell’esecutivo e di quelli dell’assemblea cittadina. Riequilibrare i poteri dei tre organi sarebbe la strada giusta per meglio governare i comuni piccoli o grandi che siano, non trascurando il valore della terzietà e dell’indipendenza della pubblica amministrazione. E questi potrebbero essere i correttivi di carattere legislativo.
Vi è però un altro aspetto più importante, di ordine politico: la selezione della classe dirigente. Questa non si inventa né può avvenire per un miracolo della “provvidenza”. Per selezionare i gruppi dirigenti politici sono necessari i partiti: non quelli conosciuti nella cosiddetta seconda repubblica, ma i partiti veri fatti di storia, di cultura, di linee politiche, di programmi, di organizzazione, di formazione, di democrazia interna. I partiti politici in una democrazia moderna sono fondamentali per il buon governo della cosa pubblica. A meno che non si voglia scegliere altro tipo di organismo per rappresentare gli interessi diffusi nella società come le corporazioni, i club, i circoli, le lobbies o altri ancora.
Il M5S sta dimostrando, comunque, all’universo mondo che giocare alla parodia della politica può valere per un tempo limitato, ma poi il bluff verrà scoperto. Le compagini amministrative autorevoli non si costruiscono con forze raccogliticce, ci vogliono idee e programmi chiari per dar vita al buon governo delle città e dello Stato. Non basta strepitare, stracciarsi le vesti, urlare è necessario avere una coerente idea di governo per potersi confrontare con le altre forze politiche. Può piacere o meno, ma la politica vera funziona così.