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Ecco perché alle elezioni in Montenegro serve tifare per la discontinuità

Un debito pubblico che galoppa senza controllo, vari scandali di corruzione che toccano l’inner circle del premier uscente e i report della Commissione Europea e di istituzioni internazionali che certificano i regressi democratici del paese e della sua classe dirigente. E’lo scenario che accompagna il Montenegro alle elezioni politiche del prossimo 16 ottobre, quando il premier Milo Djukanovic, in passato condannato per contrabbando internazionale di sigarette dalle procure di Bari e Napoli (ma salvo grazie all’immunità), intende continuare a governare dopo che è saldamente al comando del paese da un quarto di secolo. Ma se la dovrà vedere con il partito Democratic Front.

Candidati e partiti
Sono 1.129 i candidati che correranno alle elezioni parlamentari montenegrine (in 17 liste) per aggiudicarsi gli 81 seggi del parlamento monocamerale: un record nella storia del paese. Si voterà anche per le elezioni amministrative nei comuni di Kotor, Budva, Andrijevica e Gusinje. Sugli scudi la formazione attualmente al governo, il Partito democratico dei socialisti DPS, capeggiato da Milo Đukanović, eletto da OCCRP “uomo dell’anno del crimine organizzato” nel 2015. Il suo obiettivo è, dopo più di tre lustri in coalizione con formazioni di estrazione etnica, aggiudicarsi in solitaria il premierato per la settima volta. Principale avversario è il Fronte Democratico, un cartello elettorale composto da Partito popolare socialista, Movimento civico URA e Demo. Al momento è il Democratic Front l’unico ad avere in mano un programma in netta discontinuità con i debiti contratti dall’attuale maggioranza, che invece è zavorrata da un numero significativo di scandali e di mancati progressi riscontrati da Bruxelles.

I danni di Djukanovic
Se da un lato l’esito delle elezioni può essere ancora imprevedibile (anche se gli ultimi sondaggi dicono che c’è malcontento verso il governo uscente) ecco che non sarebbe del tutto inaspettato un balzo in avanti delle opposizioni al regime di Djukanovic, non fosse altro per i risultati ottenuti dal governo uscente. Il premier gioca la carta dell’adesione all’Ue e alla Nato, ma sottobanco flirta con Ankara per le commesse e negli ultimi due lustri ha dato una notevole accelerata al debito, fino all’attuale 70% del pil. Una sorta di nuova Grecia, tra conti in disordine, mancate riforme ed elevatissima corruzione, a cui si sommano scottanti casi legati agli scandali che coinvolgono la famiglia del premier ed alla mancata libertà di stampa, con giornalisti minacciati e uccisi.
E’la ragione per cui l’organizzazione internazionale non governativa Organized Crime and Corruption Reporting Project ha decretato “uomo dell’anno per il crimine organizzato” il primo ministro montenegrino Milo Djukanovic.

Contrabbando e scandali
Nelle sue indagini internazionali l’OCCRP ha individuato un’isola (finanziata dalla sua banca di famiglia) che risulta essere di proprietà di Stanko Subotic, più volte incriminato per contrabbando di sigarette ed ex sodale di Djukanovic. Ad amministrare l’atollo il capo della sicurezza di Djukanovic. Accanto a Subotic ecco altri nomi noti della malavita locale, come Naser Kelmendi, Safet Kalic e Brano Micunovic tutti protetti dall’ombrello del premier e funzionali, secondo gli investigatori, ad un progetto di vera e propria occupazione. In questo modo la famiglia di Djukanovic ha avuto la possibilità di inglobare sotto il proprio controllo la banca statale quando questa è stata privatizzata: lì l’esecutivo avrebbe fatto grossi investimenti in denaro pubblico. Ma nel momento in cui ricchi prestiti elargiti a pochi eletti non sono stati rimborsati, ecco che è intervenuta la mano di Djukanovic a mettere in salvo la banca di famiglia, grazie ad una legge ad hoc votata dal suo Parlamento.
Identico format adottato per la vendita di interi pezzi di costa montenegrina, per un prestito da un miliardo di dollari ottenuto per la costruzione di 41 chilometri di autostrada e violando le linee guida europee sul debito, o per l’utilizzo di fondi pubblici per fornire 300 milioni in garanzie statali per i prestiti contratti da imprese private, senza richiedere interesse.

Libertà di stampa
Altra spina dolorosa riguarda la mancata libertà di stampa. In Montenegro i giornalisti scomodi fanno una brutta fine. Uno su tutti, Dusko Jovanovic, il direttore del quotidiano Dan, giornale di opposizione che si è sempre distinto per inchieste giudiziarie freddato nel 2004 da due killer. Le indagini sono rimaste sempre a un punto morto anche perché le armi utilizzate per l’omicidio erano presenti nei depositi militari fin dai tempi della ex Jugoslavia. I funzionari locali in grado di far luce su nomi e luoghi sono scomparsi assieme ai testimoni. Mentre il Foreign Office americano ha classificato il Montenegro come uno stato mafioso.

Eurobarometro
Un sondaggio commissionato dalla Commissione europea, ha rilevato che la metà degli intervistati si sente insoddisfatto della guida Djukanovic, mentre solo il 35% degli intervistati ha risposto affermativamente a “se il Montenegro si sta muovendo nella giusta direzione”. L’esito del sondaggio può senza dubbio alimentare i dubbi circa la bontà delle politiche europee in loco, anche perché attuate con scarsi controlli e con un macigno alla voce giustizia. Sono arcinoti i casi di tre aziende, la cipriota Ceac, l’olandese Msnn e l’italiana A2a che hanno avuto grosse grane giudiziarie in loco, alcune delle quali finite dinanzi a tribunali internazionali che hanno iniziato a dar loro ragione. Su tutte il caso della Ceac, che dopo aver acquisito a caro prezzo l’acciaieria Kap, se l’è vista sfilare proprio dallo Stato montenegrino.

twitter@FDepalo



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