Massimo Fini, sul Fatto del 12 ottobre, scrive che, tutto sommato, non sarebbe sbagliato prendere in considerazione l’ipotesi si riesumare il vecchio codice Rocco, almeno in un punto specifico: il segreto che copriva tutte le fasi di un’istruttoria fino al momento dell’eventuale rinvio a giudizio dell’indagato. E come mai questa nostalgia che avrà fatto inarcare più di un sopracciglio? Semplice: perché i fatti di cronaca recente dimostrano che qualche cosa decisamente non va nella procedura penale italiana. Nel giro di poche settimane Guido Bertolaso, Ignazio Marino, Gianni Alemanno, Vincenzo De Luca, dopo essere stati messi sulla graticola mediatica per mesi in quanto iscritti nel registro degli indagati per varie ipotesi di reato, sono stati assolti. Dunque per mesi dei cittadini innocenti (come vuole la Costituzione) hanno subìto un linciaggio assolutamente immotivato, almeno sotto il profilo strettamente giuridico.
Secondo Ruben Razzante (nella foto), professore alla Cattolica di Milano e autore di un “Manuale di diritto dell’informazione e della comunicazione” dedicato anche a questo argomento, il guaio non sta soltanto nel fatto che questi personaggi, come tanti altri, sono stati vittime di un trattamento ingiusto. “Il problema è ancora più serio”, dice. “Se i giornali, gli studi televisivi, i siti internet si prestano a questo gioco al massacro, finisce che la lotta politica viene alterata. I politici non sono più scelti dal corpo elettorale sulla base dei loro programmi o della loro capacità di convincere il pubblico, ma vengono sottoposti a una sorte di ordalia celebrata dall’accoppiata magistratura-mondo dei media”.
Si tratta dei famosi “processi mediatici” che periodicamente tornano di attualità rinnovando polemiche e proposte riformatrici. Il politico che finisce su questa graticola non riesce a recuperare del tutto la propria posizione, anche dopo che la magistratura lo ha dichiarato estraneo alle accuse. I danni d’immagine restano. Ma d’altra parte i giornalisti che cosa dovrebbero fare? Ignorare, per esempio, che ci sono indagini su scontrini, mutande verdi, uso improprio del denaro pubblico da parte di pubblici amministratori? “Certamente no”, dice ancora Razzante. “I giornalisti devono fare il loro mestiere e dare le notizie. Spesso però, quando in ballo ci sono di politici, l’informazione si trasforma in uno show, in un ring sul quale colpevolisti e innocentisti si confrontano annientando il malcapitato di turno. Sono questi plotoni d’esecuzione che vanno evitati: i giornalisti non dovrebbero prestarsi a farne parte”.