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Popolare di Milano e Banco Popolare, come sarà la nuova banca e perché Ubi mugugna

GIUSEPPE CASTAGNA BPM PIER FRANCESCO SAVIOTTI BANCO POPOLARE

Via libera, con le rispettive assemblee degli azionisti di sabato 15 ottobre, al matrimonio tra la Popolare di Milano (Bpm) e il Banco Popolare. Non soltanto l’integrazione era in preparazione da tempo, ma di fatto rappresenta la prima fusione dall’entrata in vigore della riforma sulle Popolari, varata dal governo di Matteo Renzi all’inizio del 2015.

LE REAZIONI GOVERNATIVE

Lo stesso Renzi, nella conferenza stampa che ha seguito il varo della legge di bilancio, dopo avere accolto con favore le nozze, ha ammesso che ce n’è voluto di tempo – quasi due anni – per assistere alla prima integrazione frutto della riforma (che invece, negli auspici governativi, avrebbe dovuto incentivare numerose operazioni di questo tipo). Una quasi ammissione, forse, che qualcosa non ha funzione come il governo avrebbe sperato. Ha invece preferito lasciare spazio solamente all’entusiasmo il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, che dopo gli ok giunti dagli azionisti ha twittato: “Dalla fusione di #BPM e #BancoPopolare su impulso di una riforma del 2015 nasce oggi con ampio consenso una grande banca”.

I NUMERI DELLE ASSEMBLEE

Ma vediamo i numeri con cui le assemblee dei soci delle due banche hanno dato il proprio consenso al matrimonio. A Verona, dove ha sede il Banco Popolare al momento ancora guidato da Pier Francesco Saviotti, arrivare al verdetto pro fusione è stato quanto mai semplice: i voti favorevoli sono stati 23 mila, contro 118 contrari e 11 astenuti. Praticamente un plebiscito. Al contrario, a Milano (a Rho, dove c’è la Fiera), sede della Bpm, il risultato, come del resto da attese, è stato molto più sofferto, senza contare che è giunto dopo ben otto ore di discussione: i favorevoli sono stati 7.314 mentre sono risultati 2.731 i contrari (800 in più rispetto alle stime). In altri termini, si è espresso pro nozze il 71,79%, percentuale sufficiente per fare passare l’operazione ma senza grande tranquillità, se si considera che il quorum minimo era fissato a due terzi, ossia al 67 per cento.

IL NODO DEI PENSIONATI

In realtà, fino all’ultimo, l’esito dell’assise di Bpm era in dubbio per via della posizione dei soci pensionati, che non avevano fatto mistero di osteggiare l’operazione. Basti pensare che ancora all’inizio di ottobre il “Patto per la Bpm”, la corrente più pesante in termini di iscritti che raggruppa gli ex dipendenti, aveva criticato tutta una serie di condizionamenti attuati per imporre il “sì” alla fusione. Questa protesta era stata messa nero su bianco in una lettera recapitata all’ad di Bpm, Giuseppe Castagna (che guiderà anche il nuovo gruppo nascente dall’operazione), e per conoscenza al presidente del consiglio di sorveglianza, Nicola Rossi, a quello del consiglio di gestione, Mario Anolli, e ai sindacati.

LA POSIZIONE DI ROSSI

E’ in questo contesto che si inserisce la posizione di Rossi, vicino ai pensionati (è salito ai vertici della Popolare soprattutto grazie ai loro voti). Il presidente del cds di Bpm, in apertura dei lavori, ha invitato i soci a considerare con “attenzione” quelli che sono “i principali fattori di rischio dell’operazione che possono condizionare l’attività della capogruppo, relativi sia alla fusione che al soggetto aggregante”. Secondo Rossi sarebbe stata “doverosa una maggiore completezza informativa” della relazione del consiglio di sorveglianza all’assemblea, corredandola con le “considerazioni dubitative espresse da alcuni consiglieri”. Rossi perciò non ha votato l’operazione.

LE CRITICHE

La critica principale dei detrattori del matrimonio è che la Bpm si trova in una posizione di maggiore forza rispetto al Banco, che tra l’altro ha anche dovuto avviare un aumento di capitale da 1 miliardo per rafforzarsi e potere affrontare le nozze. C’è chi sostiene che il nodo del gruppo veronese siano i prestiti deteriorati, tant’è che, ancora venerdì 14 ottobre, il Banco guidato da Saviotti ha annunciato di essersi alleggerito di sofferenze per un valore originario di 618 milioni di euro, senza tuttavia indicare il prezzo di vendita (tema particolarmente caldo di questi tempi per le banche italiane). “#Bpm + #bancopopolare , ovvero Milano mette i soldi che servono per salvare Verona. E chissà se bastano…”, è stato per esempio il tweet del giornalista dell’Espresso, Vittorio Malagutti, a commento dell’esito delle due assemblee degli azionisti. Dall’integrazione nascerà un gruppo con 4 milioni di clienti e 2.467 sportelli, il terzo maggiore istituto italiano alle spalle di Intesa Sanpaolo e Unicredit.

LE SPERANZE INFRANTE DI UBI

Insomma, Bpm e Banco Popolare ora si apprestano a convolare a nozze. Dovrà farsene una ragione il numero uno di Ubi Banca, Victor Massiah, che ancora il giorno prima delle assemblee aveva usato vere e proprie parole d’amore per Bpm: “Abbiamo provato a fidanzarci con la Banca Popolare di Milano. Se il matrimonio con il Banco Popolare di Verona dovesse fallire, a noi la sposa piace ancora, anche se all’epoca ci ha detto di no”. Avance in extremis che, tuttavia, non sono state particolarmente apprezzate da Saviotti, secondo il quale, esprimendosi in questo modo il giorno prima delle assemblee, Massiah non sarebbe stato “molto corretto”. Ora l’ad di Ubi dovrà mettersi il cuore in pace.

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