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Chi ostacola la guerra digitale al terrorismo. Parla Alfano

Angelino Alfano e Franco Gabrielli

Il web ha cambiato modo di vivere e di comunicare e sarà sempre più la frontiera della lotta al terrorismo, con un grande tema ancora irrisolto: il giusto equilibrio tra il diritto alla sicurezza e quello alla privacy. E’ ruotato attorno a questo il convegno su “Cyberware e contrasto al terrorismo” organizzato dalla fondazione De Gasperi che ha confermato sia la stretta collaborazione tra Italia e Usa sia un analogo approccio nella lotta al terrorismo.

LE PAROLE DI JOHNSON

Il segretario per la Sicurezza interna statunitense, Jeh Johnson, ha ammesso le difficoltà degli investigatori nello scovare gli individui più radicalizzati perché usano crittografie non sempre decifrabili. E siccome “spesso ci dimentichiamo di chiedere il sostegno all’opinione pubblica, abbiamo lanciato una campagna chiedendo ai cittadini di segnalare alle forze dell’ordine le cose sospette e inusuali”. Quello che in Italia ancora non si riesce a codificare. Per Johnson, infatti, “la consapevolezza fa la differenza” e in questa lotta bisogna “coinvolgere anche i musulmani, la maggior parte dei quali è composta da persone oneste che vogliono solo lavorare”. Oltre a questo “ponte” con le comunità musulmane, per Johnson resta fondamentale la collaborazione tra governi e tra Stato e privati.

COSA HA DETTO ALFANO

Il mondo digitale è sinonimo di velocità, i terroristi dialogano in modo criptico e allo stesso tempo rapidissimo e la difficoltà degli Stati democratici è stare al loro passo. Per il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, “non abbiamo dubbi sul fatto di possedere efficienti strumenti di contrasto al terrorismo. Il dubbio è sulla capacità di risposta veloce dei sistemi democratici che agiscono dentro le regole”. Qui nasce il problema del rapporto tra sicurezza e privacy e due esempi di un recente passato ricordati da Alfano sono sempre utili per capire le difficoltà in Europa e in Italia: la registrazione dei passeggeri e l’intercettazione dei personal computer. Mentre a Bruxelles si discuteva della necessità di registrare i passeggeri che entravano nell’Ue e quelli in transito all’interno della stessa Unione “ci sono stati quattro attentati” tra Parigi e Bruxelles. Il Parlamento europeo ha poi bloccato il cosiddetto Pnr (passenger name record) per motivi di privacy. Allo stesso modo, ha aggiunto il ministro, durante la discussione in Italia per il decreto antiterrorismo dello scorso anno il governo propose un emendamento per allargare ai personal computer le norme sulle intercettazioni telefoniche per evitare che le forze dell’ordine andassero nelle abitazioni dei sospettati a sequestrate i pc, mettendoli così sull’avviso. “Sono stato tacciato di voler fare il grande fratello del ministero dell’Interno e così abbiamo ritirato quella norma”.

I NUMERI SUGLI ATTACCHI

Il terrorismo si presenta anche sotto forma di attacchi informatici alle infrastrutture critiche. I dati forniti da Alfano sono significativi: il Centro nazionale anticrimine informatico dal 1° gennaio al 30 settembre 2016 ha rilevato 626 attacchi cyber, sono arrivati 3.901 alert “relativi a minacce, attacchi o vulnerabilità da parte di enti pubblici e privati” e sono state avviate 52 indagini con 20 persone denunciate. Durante l’Expo di Milano ci sono stati 376 attacchi e per il Giubileo (fino al 30 settembre) 35 attacchi ai servizi essenziali per i cittadini romani, dai trasporti alle telecomunicazioni. Il Centro anticrimine informatico ha inoltre ricevuto 78 richieste di cooperazione in ambito G8.

COSA CI SI ATTENDE DAI GIGANTI DEL WEB

Lo scambio di informazioni resta elemento determinante e, considerando appunto i limiti della privacy, la collaborazione tra pubblico e privato può essere molto utile: per esempio, ha detto Alfano, potrebbero essere gli stessi giganti del web (le grandi aziende come Twitter e Facebook o qualunque provider) ad allertare le forze di polizia per avere una risposta veloce come l’attacco. “La sfida del futuro – ha proseguito il ministro – è la cooperazione in materia di intelligence e l’implementazione delle banche dati europee, che oggi va a rilento”. Tutti, governi e opinione pubblica, devono ragionare in termini di tempo molto lunghi, come ha ricordato Marco Lombardi, responsabile del Centro di ricerca su sicurezza, terrorismo e gestione delle emergenze dell’università Cattolica di Milano, che ha moderato il convegno. “L’Isis non ha conquistato il territorio – ha detto il professore – ma il tempo perché ha conquistato le nuove generazioni. Per questo dobbiamo ragionare sull’arco dei prossimi due decenni”.

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