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Cosa si è detto di banche e imprese alla Giornata del credito

Salvatore Rossi e Ignazio Visco

Le banche da una parte, le imprese dall’altra. Le prime schiacciate tra la cura dimagrante sollecitata ancora una volta da Bankitalia e il problema degli npl. Le seconde spaccate tra chi se ne va, le grandi aziende in testa, e chi resta, soprattutto le piccole, scommettendo ancora sull’Italia. Davvero un bel dilemma quello affrontato oggi nella XLVII Giornata del credito, organizzata presso la sede dell’Abi dall’Anspc (associazione nazionale per lo studio dei problemi del credito) presieduta da Ercole Pellicanò. Al dibattito, moderato da Paolo Messa, fondatore di Formiche e consigliere di amministrazione Rai, hanno preso parte Giovanni Sabatini, dg dell’Abi, Mario Nuzzo, vicepresidente della Cdp, Gaetano Miccichè, presidente di Banca Imi, Salvatore Rossi, dg Bankitalia, Giorgio Di Giorgio, Professor of Macroeconomics and Monetary Economics alla Luiss University, Matteo Zanetti, Responsabile Credito e Finanza Confindustria.

BANKITALIA VUOLE BANCHE PIU’ MAGRE

Il là alla discussione lo ha dato lo stesso numero due di Bankitalia, che nel suo intervento ha posto una questione piuttosto delicata. Quella degli esuberi negli istituti, che senza i tagli rischiano di rimanere troppo pesanti e soprattutto poco propensi a prestare denaro. Uno spettro più volte agitato da Bankitalia e talvolta allontanato dal governo, che ha messo sulle barricate i sindacati del credito, Fabi in primis. Il problema è che stavolta Via Nazionale lo ha detto con nettezza: “Le banche italiane, per affrontare la sfida del cambiamento in corso imposto dalle nuove regole e dal mutamento tecnologico, devono fare esercizio fisico al fine di perdere peso e recuperare agilità”. Che vuol dire? Per il dg di Palazzo Koch ci sono pochi dubbi, gli istituti devono cominciare a mettersi a dieta: “Occorre accelerare la razionalizzazione delle strutture organizzative centrali e della rete in modo da riassorbire l’eccesso di capacità produttiva che si è determinato in questi lunghi anni di crisi. In non pochi casi saranno inevitabili interventi sul personale: si potranno utilizzare gli ammortizzatori sociali esistenti, ovvero il pensionamento anticipato finanziato dal fondo di solidarietà di settore, per il quale è stata recentemente ampliata la possibilità di utilizzo; ma, se necessario, occorreranno interventi ad hoc”.

IL PROBLEMA DELLE SOFFERENZE

Rimanendo nel campo bancario, c’è un altro freno al miglioramento dei rapporti tra banche e imprese. Quei crediti dubbi (200 miliardi lo stock nazionale) che impediscono alle banche di liberare dai bilanci risorse per i prestiti, zavorrandone l’attività. Il governo in una operazione di sistema e di mercato allestita dal sistema bancario si è messo al lavoro con Atlante certo, ma è solo l’inizio. A sentire ancora Rossi la strada è ancora lunga: “Sebbene il deterioramento della qualità dei prestiti abbia mostrato di recente un rallentamento e siano state avviate prime operazioni di cessione delle “sofferenze”, lo smaltimento dello stock di crediti deteriorati richiederà inevitabilmente tempo”, ha spiegato il dg.

I BIG FUGGONO, I PICCOLI (ANCORA) RESISTONO

Sponda imprese. Se le banche devono snellirsi, il problema delle aziende è che sono troppo piccole e per questo rischiano seriamente l’estinzione. La prospettiva piuttosto fosca è arrivata da Gaetano Miccichè, presidente di Banca Imi (Intesa). Che alla platea accorsa a Palazzo Altieri ha riservato un ragionamento. Le grandi aziende stanno fuggendo dall’Italia. “Telecom, Riello, Pirelli, Italcementi sono state tutte comprate. Per l’Italia è un bel problema perché non solo si perde il marchio, l’impresa, ma si perde tutto quello che c’è attorno: banche, consulenti. Questa è una situazione di grande complessità”. Dunque? “Bisogna puntare sulle piccole e medie imprese, che però oggi sono piccole, troppo piccole e non ce la fanno. Rischiano di non farcela”. Per il numero uno di Banca Imi c’è una sola strada. “Bisogna rendere le imprese più grandi, più grosse e consentirle di andare in Borsa, quotarsi sull’Aim (il listino per le pmi, ndr)”. Per farlo però, servono soldi e considerando che il grosso delle risorse di un’impresa media o piccola che sia vengono dagli istituti, il problema c’è.

IL BANCARIO DI UNA VOLTA? NON ESISTE PIU’

Anche perchè secondo Miccichè “il bancario di una volta, che ti guardava negli occhi e capiva il tuo progetto per vedere se poteva finanziarti o meno, non esiste più. Oggi tra lui e il prestito c’è una lunga catena di comando e le decisioni vengono prese esclusivamente dall’alto”. Il banchiere, senza fornire ulteriori dettaglia, ha immaginato una sorta di “fondo” da costituire con il governo, alternativo al prestito bancario originario.

IL FUTURO DELLE BANCHE

In crisi oppure no, nel futuro le banche saranno ancora uno dei perni dell’economia. ne è convinto lo stesso Pellicanò. “Gli istituti di credito, per quanto si propugni la necessità di ridurre gli effetti e i limiti del bancocentrismo, continueranno a svolgere un ruolo determinante, a sostegno del sistema produttivo. Essi, secondo le regole europee, dovranno avere un’adeguata patrimonializzazione, sulla quale non si può non concordare, pur facendo scattare un segnale di preoccupazione, se non di allarme, con il rischio di una ventilata “Basilea 4”.


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