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Cosa sta succedendo ad Almaviva di Tripi

Acque agitate in casa Almaviva Contact. Il gruppo dei call center della famiglia Tripi, fresco di accordo lo scorso maggio con il ministero dello Sviluppo per scongiurare oltre 3.000 esuberi, è nuovamente ai ferri corti con governo e lavoratori.

LE CHIUSURE A ROMA E NAPOLI

Ieri Almaviva Contact ha annunciato “l’apertura di una procedura di riduzione del personale, all’interno di un nuovo piano di riorganizzazione aziendale” che prevede “la chiusura dei siti produttivi di Roma e di Napoli ed una riduzione di personale pari a 2.511 persone riferite alle sedi di Roma (1.666 persone) e Napoli (845 persone)”. Il tutto viene giustificato con esigenze di “contenimento dei costi, ottimizzazione del processo produttivo, efficientamento logistico e valorizzazione delle tecnologie proprietarie”.

I NUMERI DELLA CRISI

Le perdite, spiega l’azienda, nei due siti “nel periodo successivo all’accordo del 31 maggio (giugno – settembre 2016), nonostante l’utilizzo di ammortizzatori sociali, sono pari a 1,2 milioni di euro su ricavi mensili pari a 2,3 milioni di euro”, aggiunge il gruppo. “Il piano coinvolge il 5% del personale attualmente in forza al gruppo a livello globale”.

LO SCONTRO CON IN SINDACATI

Cosa c’è all’origine della chiusura oltre alla crisi? Un duro scontro con i sindacati. Lo stop al percorso previsto dall’accordo sindacale dello scorso 31 maggio arriva, sostiene la società, anche dopo “il rifiuto da parte dei sindacati di sottoscrivere lo specifico accordo sulla gestione di qualità e produttività individuale, impegno centrale e condiviso come vincolante in sede d’intesa, che nega inspiegabilmente una fondamentale leva distintiva per la qualificazione dell’offerta e il progressivo riassorbimento degli esuberi”.

LE ACCUSE ALLE ISTITUZIONI

“Allo stesso tempo” Almaviva conferma “uno scenario di mercato in costante deterioramento – almeno dieci le aziende del comparto chiuse negli ultimi mesi – che rimane assoggettato ad inalterati fenomeni distorsivi, senza registrare gli effetti delle iniziative di riordino dichiarate. Come dimostra, nonostante chiare leggi dello Stato che rimangono inapplicate, l’incontrollato aumento delle attività delocalizzate in Paesi extra Ue”: i “call center albanesi sono raddoppiati nell’ultimo anno e l’80% lavora per l’Italia”, si dice dall’azienda. Inoltre, si è certificato il perdurante andamento di gare ad evidenza pubblica bandite o aggiudicate a tariffe del tutto incompatibili con il costo del lavoro. Quindi, non solo critiche ai sindacati, ma anche al Parlamento e al governo.

COSA DICE IL GOVERNO

Un appello alla responsabilità è arrivato arrivato dal viceministro allo Sviluppo Teresa Bellanova, che ha convocato un tavolo per il 20 ottobre. “Chiedo di non andare avanti su una strada senza sbocco, frutto di annunci che appaiono come una vera e propria provocazione mentre è in corso un delicato confronto su più fronti – aggiunge -. Si riporti la discussione ai tavoli di confronto preposti, si lascino da parte inutili e dannosi atti ricattatori e si ritorni al buon senso e alla responsabilità con cui invece tutte le parti devono lavorare per una soluzione condivisa e non traumatica”.

LE VOCI DEI SINDACATI

“Se Almaviva vuole scaricare le persone in strada in cambio di commesse pubbliche, stavolta si sbaglia di grosso”, ha detto Massimo Cestaro, segretario generale Slc-Cigl. Almaviva lamenta il non rispetto dei sindacati di un punto dell’accordo di maggio: il monitoraggio della qualità delle chiamate dei lavoratori. “Non può essere un controllo a distanza a risolvere i problemi di Almaviva”, secondo Vito Vitale, segretario generale Fistel-Cisl. Il tema però è caldo. “Si tratta di un controllo individuale dei lavoratori”, aggiunge Cestaro: “Abbiamo solo chiesto all’azienda di ottenere un via libera dal ministero del Lavoro e dal garante della Privacy”..
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