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Ecco come il nuovo Senato valorizza le autonomie locali

Con la riforma, con il nuovo Senato e con le leggi bicamerali, le autonomie territoriali assumono un ruolo qualificante nelle scelte, anche per mezzo di una funzione di controllo, della politica nazionale. Ciò comporta inoltre una forte sinergia tra il Senato e la Conferenza Stato-Regioni e la Conferenza Stato-Città autonomie che potranno al meglio continuare a svolgere una funzione di partecipazione delle autonomie all’azione amministrativa dell’esecutivo e agli atti di alta amministrazione. In definitiva possiamo dire che le leggi bicamerali sono leggi di carattere ordinamentale.

Le materie elencate nell’art. 70 sono nel complesso chiare e l’ordinamento consente di avere tutti gli strumenti per dirimere gli eventuali dubbi (tra i Presidenti delle assemblee o anche davanti alla Corte Costituzionale se dovesse servire), quindi se escludiamo le leggi costituzionali e di revisione costituzionale, le materie sono proprie del sistema delle autonomie e di regolazione degli assetti istituzionali. Non mi spaventa quindi l’obiezione da alcune parti avanzata che si potranno avere con il nuovo Parlamento maggioranze diverse tra Camera e Senato; le materie di legislazione bicamerale attengono alle regole comuni e ben venga la ricerca, se ci fosse l’occasione (essendo il Senato dinamico, rispetto alla stabilità della Camera soggetta normalmente al ricambio ogni cinque anni) di una maggioranza comunque qualificata.

Altra questione attiene al “richiamo” (cioè la possibilità di chiedere da parte del Senato l’esame ed eventualmente proporre modifiche alle leggi di competenza esclusiva della Camera). Ciò può essere visto anche come una forma di controllo. La politica non si fa solo in Parlamento, e il “richiamo“ è anche uno strumento per evidenziare al Paese una scelta importante e qualificata che la Camera ha assunto in un determinato settore o ambito: può essere un valido collegamento con l’opinione pubblica, e anche di collegamento tra i senatori e il loro territorio. Vorrei poi spendere due parole sulla questione che ogni tanto si sente nelle discussioni da parte dei sostenitori del No: l’immunità parlamentare estesa di fatto ai consiglieri e sindaci eletti senatori.

Premesso che non credo sia in discussione l’immunità per le opinioni espresse e i voti dati nell’esercizio delle funzioni, resta da capire a quale immunità ci si riferisce. Per me immunità vuol dire possibilità per il parlamentare di sottrarsi al processo, ossia limitare l’esercizio dell’azione penale del pubblico ministero. Credo di ricordare che l’ultimo caso di immunità parlamentare risalga al 1993, ossia all’improcedibilità votata dalla Camera per alcuni reati contestati all’on.le Bettino Craxi. Infatti, con la legge costituzionale del 29 ottobre 1993, n. 3, l’art. 68 della Costituzione è stato sostanzialmente modificato, prevedendo l’autorizzazione del Parlamento esclusivamente per la perquisizione o l’arresto (quest’ultimo consentito chiaramente in esecuzione di sentenza irrevocabile).

Dal 1993, non vi è alcun limite verso i parlamentari all’esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero: l’indagine, l’udienza preliminare per l’eventuale rinvio a giudizio, il dibattimento e la sentenza procedono senza alcuna interferenza della Camera di appartenenza dell’imputato. Poi nel caso specifico della riforma il senatore è strettamente legato al suo status di consigliere regionale o di sindaco e, laddove si arrivasse ad una sentenza di condanna di primo grado e il reato o la pena rientrasse nelle previsioni della legge Severino, la conseguente sospensione da amministratore regionale o locale comporterebbe l’automatica sospensione da senatore.


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