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Che cosa cela il dibattito facinoroso su Costituzione e Italicum

Pier Luigi Bersani

Tutti parlano di Costituzione oggi che c’è da votare il referendum del quattro dicembre prossimo, speriamo che anche dopo l’esito della consultazione elettorale i leader dei partiti illuminino con la loro scienza costituzionale i cittadini meno preparati sui contenuti della carta fondamentale. Ma di quale Costituzione si parla? Quella che i padri fondatori della repubblica Italiana del 1948 ci hanno lasciato in eredità, frutto di lunghi dibattiti, discussioni e confronti, che avevano la loro ragion d’essere in una visione culturale articolata e ben delineata, che rispecchiava il sentire degli italiani. Allora, gli attuali legislatori che hanno approvato in Parlamento le riforme, se saranno animati da onesto spirito costituente, potranno chiarire i dubbi agli elettori prima del quattro dicembre, proseguendo nella scia dei loro storici predecessori del 1948, altrimenti rischieranno di passare per cantastorie, semplici profittatori della politica, che attraverso nobili evocazioni prendono in giro gli italiani e nel contempo arraffano potere.

Gli italiani stanno costantemente premiando elettoralmente il Movimento 5 Stelle, nonostante le difficoltà e le traversie riscontrate in diverse città d’Italia, perché stufi ormai di prese in giro, di promesse mai mantenute, di illegalità continue, di evidenti bluff elettorali, di trucchi elevati a sistema. No, non può essere questa la democrazia italiana del nuovo secolo che scellerati profeti del nuovo vanno predicando in ogni dove. E allora bisogna reagire, senza mai transigere.

Mario Segni nel 1993 durante un’altra stagione referendaria, riscoprendo la lezione sturziana, lanciò, guardando alla moralizzazione della vita pubblica, la sua battaglia contro la partitocrazia. L’impegno di Segni si concluse, ironia della sorte, con la fine della partitocrazia sì, ma con la nascita della personalizzazione della politica, che ha comportato una maggiore e più diffusa immoralità.

C’è una classe dirigente che oggi non fa che predicare cambiamento, cambiamento, termine assai ambiguo, a cui si potrebbe dare anche significato opposto a quello evocato. Per assegnare credibilità al termine si racconta addirittura, con molta approssimazione, un’Italia caricaturale, che in settant’anni sarebbe stata ferma: ovviamente dato del tutto falso, perché il nostro Paese si trova da decenni, non per caso, ai primi posti della classifica dei paesi più progrediti al mondo. Cambiamento non come slogan, quindi, ma una nuova morale pubblica, per ridare dignità alla politica.

Una convinzione diffusa dice che non può esistere una democrazia vera e autorevole, se non è sostenuta dalla partecipazione ampia dei cittadini alla vita pubblica. Costruire una buona società, prescindendo dalla partecipazione dei cittadini alla vita politica è solo puro velleitarismo. I fautori della democrazia oligarchica di tipo borghese, quelli che invece di allargare la base del consenso, preferiscono curare l’affermazione dei circoli di affari, dei salotti che contano, di lobby spregiudicate pensano invece che sia praticabile. Sono i tifosi di una pericolosa semplificazione istituzionale, che altrove sta registrando l’affermazione preoccupante di forze aggressive del capitale, e per reazione, a difesa dei ceti più deboli, la notevole e improvvisa crescita di movimenti politici alternativi ai partiti storici.

La democrazia cristiana è stata sempre contro la democrazia borghese, dei club, che con disegno scientifico preclude ai cittadini meno fortunati di essere associati alla vita del governo e dello Stato. Gli esponenti del movimento dei cattolici in Italia, per tantissimi stella polare nell’agire politico e sociale, hanno sempre combattuto strategie politiche escludenti. La democrazia o è partecipata e popolare o non è democrazia. Il principio di partecipazione è figlio di una storia nobile e gloriosa che parte dalle idee di Murri, di Sturzo, di De Gasperi e che passa nelle mani di importanti eredi, dopo il secondo conflitto mondiale, come Fanfani, Moro, Dossetti, La Pira e altri ancora e arriva fino alla Democrazia Cristiana di Martinazzoli. Per tutti costoro un solo traguardo da raggiungere: rafforzare la libertà, estendere la democrazia, favorire la crescita per costruire sviluppo, benessere sociale ed economico. Gli strumenti per realizzare tali obiettivi erano in primis la partecipazione politica, attraverso un sistema elettorale proporzionale con preferenza, meccanismo più adeguato a favorire il coinvolgimento dei ceti medi e di quelli popolari, soprattutto all’inizio dell’epoca della complessità. Tutti a invocare in questi ultimi vent’anni la governabilità nella stabilità, ma senza ottenerla in alcun governo succedutosi dal 1994 a oggi. Si spera che adesso con le recenti disponibilità del Pd annunciate da Renzi si riapra un discorso che sembrava irrecuperabile e un moto di resipiscenza prenda i principali attori per rimodulare una legge elettorale che agevoli la partecipazione e consenta al cittadino elettore di scegliersi il candidato, il partito, la coalizione di governo conformi alla sua impostazione politica. Se ciò non avverrà, il potere podestarile diventerà stabile e discriminerà ancora.


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