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Eugenio Scalfari, Matteo Renzi, la democrazia e l’oligarchia

Sebastiano Barisoni, giornalista del Sole 24 Ore organo degli industriali di Confindustria, durante una trasmissione televisiva a carattere economico, ha condiviso lo spot del governo Renzi che invita gli imprenditori stranieri a investire in Italia, perché il costo del lavoro è più basso rispetto agli altri paesi. Si conferma che Renzi prima con il Jobs Act, poi con la Buona Scuola e, quindi, con la Riforma Madia della Pubblica Amministrazione è in sintonia con le aspettative di Confindustria, il cui giornale, in grossi guai finanziari, è diventato cassa di risonanza del governo. Non è un mistero che il governo Renzi, sia più sensibile ai richiami del potere del “capitale”, che ai bisogni del ceto medio e di quello meno fortunato. La teoria eccentrica e fantasiosa di Eugenio Scalfari, che esalta l’oligarchia a scapito della democrazia, al fine di contestare il pensiero di Zagrebelsky e sostenere Renzi, nel famoso dibattito da Mentana alla 7 tv è sintomatica di un clima che esiste e si percepisce tutto. Il fondatore di Repubblica lo ha scritto sul giornale di domenica scorsa, auspicando che il giovane capo del governo diventi un vero “oligarca”. Chissà che direbbero oggi i Costituenti del 1948 ascoltando queste ipotesi. Sì, perché gli uomini che fecero la Costituzione non la scrissero sotto la pressione di interessi economici o finanziari, ma guardando con puro sentimento democratico, oserei dire religioso, alle lacerazioni provocate prima dal fascismo e poi dalla guerra: al tanto sangue versato, alle sofferenze patite, alle mortificazioni subite, all’annientamento della libertà, e ritenendo, quindi, il riconoscimento della dignità della persona umana valore imprescindibile.

Furono le grandi idee di Dossetti, condivise con la pattuglia di punta dei costituenti cattolici: Fanfani, La Pira, Moro, Lazzati, Mortati a convincere anche gli altri costituenti che il primato della persona dovesse ricevere il crisma del riconoscimento costituzionale. Il personalismo di Dossetti si muoveva tra la solidarietà da proclamare, e a cui educare come obbligo costituzionale, e la autonomia della persona. E qui sta la grandiosità della Costituzione del 1948. Di fronte ad un vero monumento della democrazia, qual è appunto la Carta costituzionale, assistere a spettacolini di bassa portata, mandati in scena in questi ultimi giorni, produce una devastante demoralizzazione, soprattutto quando si fanno i conti della lavandaia per verificare quanto si risparmia con le riforme. Ci si dimentica che si sta discutendo di democrazia, di libertà, di istituzioni e che queste non hanno prezzo, né in termini astratti né in termini concreti. La democrazia è un bene supremo da difendere, costi quel che costi. Una democrazia fittizia non serve all’Italia. Né all’Italia può riguardare che forti ricchezze possedute da pochi debbano prevalere, danneggiando la povera gente, lavoratori, professionisti, artigiani, dipendenti, funzionari pubblici e privati.

In democrazia l’interesse da garantire non è quello quantitativamente numeroso, ma quello qualitativamente nobile e l’interesse qualitativamente nobile è quello debole, altrimenti il processo di libertà si arresta e la democrazia non è più in grado di arricchire, non in senso economico, ma la coscienza umana di valori civili.

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