Se 107mila italiani hanno trovato lavoro all’estero che problema c’è? Sono costretti a lavorare nelle miniere in Belgio come quei poveretti che morirono a Marcinelle? Hanno attraversato l’Oceano sui bastimenti che partivano “per terre assai lontane’’, alloggianti in terza classe dove si stava “meglio che in ospedale’’ (come dice la canzone)? Un talk show televisivo ha intervistato alcuni giovani che hanno avviato delle attività economiche in Albania e ne sono soddisfatti. La nostra non è più un’emigrazione di braccia, ma di talenti e di cervelli. Ed i talenti e i cervelli, come la capacità d’iniziativa, sono elementi intrinseci della globalizzazione, a beneficio di tutto il mondo a prescindere dalla latitudine e dalla longitudine in cui vengono espressi.
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L’Istituto tecnico Gaetano Salvemini di Casalecchio di Reno (Bologna) passò alle cronache del 6 dicembre del 1990 quando un aereo militare Aermacchi MB-326, abbandonato dal pilota che ne aveva perso il controllo per un guasto meccanico, cadde sull’edificio provocando una strage: morirono 12 studenti, mentre altri quattro ed un’insegnante rimasero feriti. Si è tornati a parlare di questo Istituto negli ultimi giorni a causa di un ulteriore esempio di come la riforma scolastica del Governo Renzi sia tutt’altro che “buona’’. Intervistato dal Corriere della Sera il preside Carlo Braga ha denunciato un caso di malfunzionamento di un aspetto molto delicato ed importante nel garantire a tutti il diritto allo studio. Al Salvemini ci sono 1.500 studenti di cui 60 disabili (di loro, 47 sono gravi). L’organico prevede 38 insegnanti di sostegno (ricordiamo che si tratta del profilo professionale a cui era destinato un numero significativo dell’infornata di stabilizzazione degli insegnanti precari). Su 18 nuove assunzioni ben 17 hanno sottoscritto il contratto di ruolo triennale poi si sono dileguati sfruttando i congedi parentali e i certificati di malattia, in attesa di un’assegnazione provvisoria (vicina a casa). Così il dirigente scolastico ha dovuto far ricorso alle supplenze, convocando 300 possibili insegnanti. Ma sconfortato, il professor Braga dichiara al giornalista che lo interroga: “Vuole scommettere che neanche così trovo i 20 che mi servono?’’.
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Scrive Federico Fubini sul Corriere della Sera di domenica scorsa (Le idee del populismo stanno contagiando i partiti tradizionali) che “ovunque in Europa e in Occidente gli eredi dei partiti tradizionali stanno adeguando la propria retorica e le decisioni di governo alla nuova aria del tempo. Nessuno di loro intende lasciare un voto più del necessario agli avversari situati ai confini estremi della politica’’. Basti pensare che il governo di Theresa May è intenzionato a privilegiare l’occupazione dei lavoratori britannici lasciando agli stranieri i posti residui: come vorrebbero fare il leghisti in Italia. Da noi è consuetudine che le forze tradizionali rincorrano le posizioni politiche dei movimenti eversivi. Per decenni ci siamo gingillati con il mito del federalismo, tanto che, in nome di questa suggestione, la sciagurata riforma del Titolo V la fece un governo di centrosinistra (per fortuna l’elettorato bocciò la devolution del centrodestra). Da alcuni anni tutti “risciacquano i panni nell’Arno’’ inquinato dell’antipolitica, tanto che persino i rappresentati delle istituzioni si sono messi ad usare un linguaggio di dileggio delle istituzioni stesse (i ‘’burocrati’’, i ‘’mandarini’’, le ‘’poltrone’’, ‘’i costi della politica’’ e quant’altro).
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Ma se io continuo a preferire la Costituzione del 1948, con il suo bicameralismo paritario, i mille parlamentari, le Province e magari anche con il Cnel, perché dovrei votare Sì il 4 dicembre?