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Che cosa cela la nuova indagine dell’Fbi sulle email di Hillary Clinton

Con una lettera inusuale il direttore dell’Fbi, James Comey, ha fatto sapere al Congresso americano che ci sarebbero altre email “pertinenti”, ossia su cui devono essere fatti approfondimenti, tra quelle che la candidata democratica alle presidenziali Hillary Clinton ha fatto passare per un server privato mentre era segretario di Stato (dal 2009 al 2012).

IL SECONDO TEMPO DELL’INCHIESTA

L’inchiesta era stata già chiusa a luglio, con Comey che aveva redarguito Clinton definendo il suo comportamento “estremamente negligente”, ma senza che questa finisse invischiata in beghe legali che le avrebbero potuto segare la candidatura. Il punto è, o era; Hillary aveva usato sì un indirizzo personale per gestire anche comunicazioni di lavoro, quindi sensibili visto il ruolo che occupava nel governo, ma non aveva violato nessuna legge, perché questo all’epoca era concesso, e anche tra le mail esclusivamente personali che aveva cancellato prima di riconsegnare il pacchetto agli archivi governativi – in quanto atti pubblici – non c’era niente di scottante. Insomma, non c’era stato alcun dolo, semmai superficialità, perché come il Bureau ha più volte ricordato il rischio di gestire certe informazioni riservate e di interesse nazionale su server privati è che queste possano finire più facilmente sotto attacchi hacker. Il contesto temporale è delicato, l’America ha più volte subito cyber-attack in questi ultimi mesi, alcuni hanno preso di mira proprio Clinton, il suo partito e il suo entourage: per dire, cosa sarebbe successo se invece della ricetta del risotto di John Podesta, top manager della campagna Clinton 2016 la cui casella privata è stata hackerata per poi diffondere migliaia di mail anche dai contenuti irrilevanti (come il risotto), fosse finita sotto attacco una conversazione riservata tra il segretario di Stato e un alleato su possibili sviluppi strategici internazionali?

COSA SI SA PER ADESSO

Secondo “funzionari” dell’Fbi che hanno parlato anonimamente col New York Times questa riapertura dell’inchiesta è legata a un’altra indagine che l’agenzia sta seguendo su Antonhy Weiner, ex pupillo democratico finito in diversi scandali a sfondo sessuale tra cui uno in cui potrebbe essere coinvolta una minorenne; per questo a settembre è stata aperta un’indagine su di lui sia dai Federali che dalla polizia di New York. Weiner è l’ex marito di Huma Abedin (gossip: si sono lasciati a luglio), che è consigliere intima di Hillary dai tempi del Dipartimento di Stato. L’Fbi avrebbe richiesto l’accesso ai dispositivi mobile di Weiner e di Abedin per cercare informazioni sul caso del politico democratico ex candidato a sindaco di New York, quando ha scoperto che in mezzo c’erano anche mail interessanti inviate dalla Clinton. Anche Associated Press ha parlato del collegamento con l’indagine di Weiner. Ci sono ricostruzioni per il momento poco chiare che parlano di alcuni messaggi che Clinton ha girato ad Abedin che poi se l’era fatti stampare dall’allora marito, come fosse una comodità mentre erano in casa: la comodità è stata già usata da Hillary come motivazione, poco convincente, per spiegare le ragioni della scelta di utilizzare un server privato.

IL COLPO POLITICO

Non è possibile confermare niente per ora, ma è proprio il contenuto di questi messaggi transitati sugli smartphone dei due il punto dell’inchiesta (quanto erano sensibili?). Lo stesso Comey ha specificato che “l’Fbi non sa ancora se il nuovo materiale possa essere significativo”, e l’invio della lettera prima di avere prove in mano è una prassi fuori dalle procedure, tuttavia, secondo Matthew Iglesias di Vox è stata una scelta spinta dalla “posta in palio”, una pressione enorme che il direttore ha deciso di sfogare con un avviso preventivo (che cosa sarebbe successo e che reazioni avrebbe provocato se eventuali prove di colpevolezza di Clinton fossero uscite tra dodici giorni, ossia dopo le votazioni?). È chiaro che una notizia del genere a undici giorni dal voto presidenziale ha comunque un peso enorme. Anche perché il capitolo mail è sempre stato uno dei punti deboli della candidatura di Clinton: una rappresentazione perfetta del senso di sfiducia che gli elettori hanno nei suoi confronti, reputando Hillary una macchinatrice del Potere che si muove nel grigiore dei backstage politici. Tutto arriva tra l’altro in un momento in cui Donald Trump, lo sfidante repubblicano, sta avendo una leggera ripresa dopo i dati catastrofici delle ultime settimane: forse sono state proprio le mail di Podesta, usate dalla propaganda trumpiana per continuare a sottolineare che Clinton “è una bugiarda”, o forse il rialzo di Trump è collegato a una flessione di consensi del candidato libertario Gary Johnson (uno che fino a pochi giorni fa viaggiava con numeri fuori media, ma evidentemente man mano che si avvicina il voto la storica polarizzazione dem/rep supera tra gli elettori americani la possibilità di un terzo, improbabile polo). Date le circostanze è stata la stessa Clinton a chiedere che il Bureau chiarisca rapidamente i contenuti delle nuove mail in esame, perché gli elettori devono sapere, “è imperativo” ha detto, dato che si trovano davanti alla “più importante elezione delle nostre vite”. I repubblicani non hanno mancato di farci politica: per esempio, lo speaker della Camera Paul Rayn in uno statement sulla vicenda ha chiesto al capo della National Intelligence di sospendere Clinton dai briefing riservati a cui ha accesso in quanto candidata presidente.


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