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Fuocoammare e i dibattiti su Fuocoammare

istat, Biotestamento, Daniele Capezzone, logge massoniche

Occhio, lo dico in primo luogo a Formiche.net che ospita liberamente queste riflessioni (grazie). Rischio di non essere gradevole, anzi, di essere proprio sgradevole, in tutta sincerità.

“Fuocoammare” è il film-documentario di Gianfranco Rosi già strapremiato al Festival di Berlino (Orso d’oro lo scorso febbraio) e adesso – la notizia è di questa settimana – candidato italiano ai prossimi Oscar. La storia è nota: si tratta di un’opera girata a Lampedusa e che assume il punto di vista del medico dell’isola. In molti ricorderanno gli elogi della grande stampa mainstream (in Italia e non) per l’approccio incondizionatamente pro-immigrazione del lungometraggio, le dichiarazioni forti del regista, quelle di Meryl Streep (presidente della giuria a Berlino) e la valanga di recensioni e apprezzamenti più centrati (a me pare) sull’eventuale ricaduta “politica” del film che non sulla sua cifra artistica.

A me il film non è piaciuto (come difficilmente mi piacciono i racconti “a tesi unica”, senza contraddizioni), ma questo davvero conta pochissimo. Ho enorme rispetto per chi ha gusti opposti e magari ama proprio quello: l’esposizione emotivamente forte di un punto di vista.

Quello che proprio mi addolora – invece – è una deriva “politically correct”, che sembra ormai inesorabile nel nostro Occidente (e quindi a maggior ragione nel piccolo cortile italiano), e che a poco a poco ci priva della sfida di osare, di rischiare, di dire cose controcorrente.

Se il film sarà davvero ammesso alla gara finale (per ora c’è solo la pre-candidatura italiana agli Oscar), scommettiamo che, da qui a febbraio (com’è accaduto nei mesi passati), assisteremo solo a ondate di opposto conformismo? Da una parte (a valanga) gli elogi lacrimosi e “di sinistra”, quelli della cultura “ufficiale”, quelli dell'”immigrazione come risorsa”, e via comiziando. Dall’altra (minoritaria nei media, ma altrettanto categorica e senza l’ingombro di qualsiasi dubbio), la stroncatura “da (certa) destra”, l’attacco “a prescindere”.

Ecco, se proprio ho una pistola alla tempia, scelgo la seconda “curva” (se non altro, perché è minoritaria sui media italiani.). Se, invece, possiamo discutere – come sarebbe auspicabile – senza minacce di armi da fuoco, cercherei disperatamente qualcuno disposto ad andare oltre gli schieramenti più scontati e banali.

Lo dico con semplicità, perfino con rozzezza. Ci sarà qualcuno a sinistra che sia pro-immigrazione, ma abbia il coraggio di dire che il film gli è parso palloso e lacrimoso? E ci sarà qualcuno dall’altra parte che voglia forti e rigidissimi limiti all’accoglienza (nel mio piccolissimo, “milito” in questa categoria) ma che (a maggior ragione) si sforzi di curvarsi con compassione ancora più grande su storie umane dolorosissime?

Ecco, l’ho scritto, e mi sento già meglio. Superiamo i sensi di colpa. Usciamo dalle “curve” in cui ci vogliono infilare. Rompiamo gli “schemini” da talk-show, le due seggioline contrapposte dove (per forza) le posizioni devono essere estreme, quasi caricaturali, senza sfumature, senza nuances, senza mai l’ombra di un dubbio.

Io ci provo. E dico che non mi è piaciuto il film. E che ancora peggiore del film mi è tragicamente parso il “dibattito”.



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