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L’Italia non può imitare l’Estonia come consiglia l’obamiano Ross. Parola di Calenda

Il Ttip? “La mia impressione è che non si chiuderà“. L’accordo di libero scambio con il Canada? “Ormai si avvia ad essere bocciato“. L’atteggiamento di Bruxelles? “Da suicidio“. Il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda è tra i principali sostenitori in Europa di una politica commerciale fondata sulla strategia degli accordi bilaterali, per rilanciare il libero scambio internazionale e correggere le distorsioni della globalizzazione. Non a caso ha pure firmato l’appello contro il nuovo protezionismo promosso da economisti, giuristi e intellettuali di area liberale tra cui il presidente dell’Istituto Bruno Leoni Franco Debenedetti, il giuslavorista – e senatore Pd – Pietro Ichino e il presidente del consiglio di sorveglianza della Banca Popolare di Milano Nicola Rossi.

Da quell’iniziativa è nato il Comitato per il Libero Commercio che si è riunito oggi nella sede della Fondazione Einaudi presieduta da Giuseppe Benedetto alla presenza, tra gli altri, del numero uno della Adam Smith Society Alessandro De Nicola, del presidente di Simest Salvatore Rebecchini, del sottosegretario agli Affari esteri Benedetto Della Vedova e dell’economista Riccardo Gallo.

Con loro c’era anche Calenda che ha approfittato dell’occasione per fare il punto su quanto sta accadendo a livello internazionale dopo i ritardi accumulati nella ratifica del Ttip tra Unione Europea e Stati Uniti e il no del Parlamento della Vallonia al Ceta con il Canada. “Fin dall’inizio sono rimasti fuori dalle trattative gli argomenti più controversi e meno condivisi, come gli OGM, i servizi pubblici e il tema dei diritti“, ha sottolineato Calenda. Eppure il Ttip rischia seriamente di fallire: “La mia impressione è che non si chiuderà“. Lo stesso pessimismo il ministro lo ha manifestato a proposito dell’accordo commerciale con il Canada: “Si sta avviando ad essere bocciato“.

Ma perché si è arrivati a questo punto? “Sta diventando impossibile portare le discussioni su un piano razionale. Queste bocciature derivano dalla critica feroce che si sta affermando in Occidente nei confronti della globalizzazione”. Dubbi che – a parere del ministro – trovano una giustificazione nel modo in cui la stessa globalizzazione è stata raccontata a partire dagli anni ’90, in particolare dai fautori della cosiddetta terza via, i cui principali rappresentanti possono essere considerati Bill Clinton e Tony Blair: “E’ stata descritta come la panacea di tutti i mali, come fenomeno ad una faccia che avrebbe fatto trionfare la democrazia e la ricchezza in tutto il mondo“. Convinzioni sostenute da politologi e saggisti come Francis Fukuyama autore de La fine della storia e Thomas Friedman che ha scritto, invece, Mondo piatto. I loro testi descrivono le magnifiche sorti e progressive della globalizzazione, contro le quali hanno preso, però, la parola altri studiosi, tra cui Samuel Huntington con il suo Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale. Calenda ha sottolineato di aderire al secondo e non al primo filone di pensiero: “Che la globalizzazione sia stato un fenomeno che a un certo punto si è squilibrato è innegabile“.

Necessario, dunque, trovare un nuovo equilibrio perché – ha osservato il ministro – “la globalizzazione e il libero scambio sono buoni solo se governati e gestiti. Nessuno vuole vivere nella giungla. Per questa ragione il riformismo è andato in crisi ovunque nel mondo“. Occorrono “un approccio non ideologico” e l’ammissione che questi fenomeni “non si governano da soli“. In questo senso Calenda si è detto convinto che “gli accordi bilaterali con Canada e Stati Uniti siano fondamentali per riprendere in mano il timone“. Ma il rischio – lo ha riconosciuto chiaramente – è che sia troppo tardi: “Sul CETA la Commissione europea si è suicidata. Se tu ti fermi per il no della Vallonia, nessuno vorrà più negoziare con te“.

Lo stesso discorso – ha rilevato – deve essere fatto a proposito dell’innovazione tecnologica che, al pari del libero scambio, è importantissima per creare ricchezza e abbattere la povertà e le disuguaglianze, a patto però “di essere gestita“. Quello che i governi non dovrebbero fare – ha di fatto dichiarato Calenda – è avere in materia l’approccio del guru obamiano Alec Ross (autore del bestseller internazionale Il nostro futuro, presentato a Roma prima dell’estate insieme con Matteo Renzi) con cui si è confrontato qualche settimana fa: “Ha detto che l’Italia dovrebbe fare come l’Estonia: puntare tutto sull’innovazione tecnologica e lasciar perdere i lavori manuali che sono destinati a non avere futuro“. Una scelta dolorosa per il nostro sistema manifatturiero, ma secondo Ross – ha rivelato Calenda – “andrebbe bene così, perché ci sarebbe chi vince e chi perde“. “Si tratta dello stesso errore compiuto negli anni ’90 con la globalizzazione: è anche da questo modo di fare e di pensare che emergono i Trump e i populismi vari“, ha ribadito prima di aggiungere ancora: “Lo ripeto con forza: questi temi vanno affrontati in modo non ideologico“.

Infine, il ministro ha fatto un cenno anche alle ricette economiche da mettere in campo per mettersi alle spalle la crisi politica ed economica che attraversa l’Unione Europea: “Il pareggio di bilancio è l’ultima cosa di cui l’occidente ha bisogno in questa fase. E lo dice chi è stato montiano. Oggi occorrono investimenti per ricostruire la fiducia delle imprese e dei cittadini“.

Un obiettivo, quest’ultimo, da raggiungere anche grazie al Ttip, che – ha chiarito il presidente di Simest Rebecchini – “è molto importante per il nostro Paese“. Salutare per l’economia italiana sarebbe, in particolar modo, la parte del trattato che elimina le barriere non tariffarie e che dispone la cosiddetta convergenza normativa tra Usa ed Europa. Il motivo? Rendere più semplici le esportazioni, soprattutto dal punto di vista delle aziende: “Oltre il 65% delle imprese che esportano ha meno di 9 dipendenti, mentre soltanto il 5% ne ha più di 250. Ciò indica chiaramente che la nostra struttura esportativa necessita di siglare accordi bilaterali“. Opinione, ovviamente, condivisa da De Nicola, che ha sottolineato come il libero scambio serva “a garantire il movimento delle persone, a migliorare la concorrenza e ad aumentare l’apertura verso l’esterno. Pure gli economisti – che di solito non sono d’accordo quasi su niente – condividono l’idea che il free trade sia benefico“. Il professor Gallo ha, invece, ricordato l’impegno profuso dal leader repubblicano Ugo La Malfa per la causa del libero commercio: nel 1951 – durante il settimo governo a guida De Gasperi – La Malfa, da ministro del Commercio estero, si batté affinché fossero smantellati dazi doganali e tariffe sulle importazioni nei rapporti con gli altri paesi europei. Una decisione – ha raccontato Gallo – la cui importanza fondamentale sarà riconossiuta quarant’anni dopo da Guido Carli, convinto che anche grazie alla liberalizzazione decisa da La Malfa l’Italia si sia avviata negli anni ’50 alla stagione indimenticabile del boom economico.


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