Non è questa la sede – dal mio punto di vista – per interventi politici diretti.Formiche.net ha la gentilezza di ospitarmi (grazie!) per riflessioni a cavallo tra politica e cultura, e sarebbe abusivo da parte mia trasferire qui polemiche con il governo o (peggio mi sento…) il contenuto delle mie interrogazioni parlamentari. Dio ce ne scampi, almeno la domenica.
Fermo restando questo, non ho proprio capito (anche da un punto di vista culturale, appunto) il voto italiano di astensione rispetto alla brutta decisione dell’Unesco contro Israele.
Non ci siamo solo differenziati dal fronte occidentale (Usa, Regno Unito, Germania, Olanda) che ha giustamente votato contro. Non abbiamo dato solo un altro segnale ambiguo verso Israele, dopo la già opaca recente “corrispondenza d’amorosi sensi” (anche in termini di cooperazione militare) del Governo con l’Iran, che vuole notoriamente vedere Israele distrutta.
Abbiamo anche dimenticato un dato storico e culturale di fondo: ma come si fa a mettere tra parentesi il legame ebraico indissolubile (le radici giudaiche, appunto) di Gerusalemme, del Muro del Pianto, del Monte del Tempio, di tutta quella realtà? Geografia, storia, cultura, religione, valori anche laici di tolleranza dicono altro: eppure l’Unesco si è espressa nel modo che sappiamo. Con l’Italia astenuta.
E non lo dico solo restando nei miei panni: quelli di un liberale che ama Israele. Lo dico anche ricordando anni e anni di discorsi ascoltati da figure di varia appartenenza (a sinistra, al centro, a destra: a volte sinceri, altre retorici, altre ancora – debbo ritenere – un tantino ipocriti) sulle cosiddette radici cristiane e giudaico-cristiane dell’Unione Europea.
Per anni, abbiamo sentito dire (lo ripeto: in versioni più o meno convincenti) che il “tratto”, la “cifra” europea doveva basarsi sull’eredità di Gerusalemme (e poi di Atene e Roma, su un piano diverso), su un legame antico, sulla capacità di far tesoro del filo che unisce la tradizione ebraica a quella cristiana. Avevo capito male io? Erano parole strumentali? O invece basta l’”innesco” tutto politico dell’ostilità contro lo Stato di Israele, oggi, per ridurre a carta straccia anni di dichiarazioni solenni e commosse?
Resta infine una domanda più di fondo, che ha a che fare con il senso ultimo della vita, con l’amore per la libertà, e con i limiti che vita e libertà dovrebbero imporre alla politica e alla sua sfera di intervento: ma davvero qualcuno ritiene che le radici di un luogo, di un tempo, di una storia, possano essere “decise” e “votate” da una mozione dell’Unesco? Davvero, nel 2016, c’è ancora chi ha una concezione pan-politica e pan-politicista, per cui tutto debba ridursi a “documento politico”, a “risoluzione”, a “mozione”, mentre ciò che sta fuori (“inezie” come vita, storia, cultura…) esista solo in funzione di come viene definito in quelle carte?