Gli eccessi di comunicazione, come spesso accade, producono dei mostri. È una vecchia regola giornalistica che i politici, tutti presi in una frenetica attività compulsiva, spesso dimenticano. E fanno male. Anzi: si fanno del male. Ma ciò che è capitato a Matteo Renzi va oltre l’umana comprensione. L’errore nasce da una sottovalutazione dell’avversario. Non tanto dei membri del Parlamento in tutt’altre faccende affaccendati. Ma quando si hanno di fronte i burocrati di Bruxelles, la musica cambia.
Immaginiamo, per un attimo – cosa abbastanza probabile – che compiano un’operazione analoga alla nostra. Abbiamo attentamente valutato le slide presentate durante la conferenza stampa sulla manovra di bilancio. Sommato gli importi delle promesse avanzate, nel tentativo di aver dimostrazione di quel nesso stringente tra “meriti e bisogni”, che costituisce la ricetta della buona politica. Operazione non priva di difficoltà, visto che lo spazio temporale di ogni singolo intervento è diverso. Alcune misure sono addirittura proiettate al 2020. Segno di grande ottimismo e sicurezza personale.
Pur con questi limiti la sintesi, espressa dalle cifre, è significativa. Dà un’idea dell’immaginario su cui si arrovella il giovane Presidente. Siamo andati, quindi, a vedere in che modo questo desideri sono destinati a calarsi nella realtà magmatica di questi tempi di magra. Per saggiarne il grado di fattibilità. Abbiamo preso quindi il “Documento programmatico di bilancio per il 2017”. Non facile trovarlo, perché pubblicato solo sul sito della Commissione europea. Piccolo segreto per una schiera limitata di addetti ai lavori. Il Documento è scritto sia in italiano, che in inglese. La sua fattura risponde alle regole ferree del SEC: il sistema contabile europeo che regola le diverse partite del bilancio. Vi è poi un’ulteriore difficoltà. Qui le cifre non sono espresse in euro, ma in punti di Pil. Possono quindi essere interpretate solo con la necessaria conversione.
I dati portano ai seguenti risultati. Nel 2017 la manovra espansiva, affidata all’aumento del deficit sarà – cosa nota – pari a poco più di 12 miliardi di lire. L’aumento dell’indebitamento sarà quindi di 0,706 punti di Pil. Crescerà pertanto dall’1,6 per cento del Pil, come previsto dalle previsioni di inizio anno, al 2,3 per cento. I conti tornano. Meno evidenti ne sono le conseguenze. Nel 2018 e nel 2019, infatti, l’extra deficit dovrà essere in qualche modo riassorbito. Ed, infatti, grazie alla manovra dovrà diminuire di 0,278 punti di Pil nel 2018 e di 0,211 nel 2019. Cumulando le due cifre resta un residuo di poco più 0,2 punti di Pil che si spera di riassorbire con una crescita maggiore oppure ritardando un poco il raggiungimento del pareggio di bilancio.
Resta un problema non di poco conto. Nel 2018 dovranno essere trovate risorse per 15 miliardi per scongiurare l’aumento dell’IVA e delle accise. Per ora questa spada di Damocle è stata disinnescata per un solo anno. Pur con questi limiti, il quadro è coerente. Ma bisogna saperlo interpretare. La manovra, infatti, è espansiva nel primo anno – il 2017 – ma negli anni successivi inverte il segno e diventa restrittiva. Se si guarda all’intero triennio, invece, lo sforzo per dare ossigeno all’economia è pari solo a poco più di 3 miliardi. E’ la dimostrazione che senza una cambiamento rilevante delle regole europee, non si canta messa. Per quanto possiamo essere creativi, alla fine quel muro del 3 per cento come limite massimo all’indebitamento, che Romano Prodi – quand’era Presidente della Commissione europea – definitiva “stupido“, rappresenta un limite invalicabile.
Torniamo ora a bomba. Il totale delle slide di Matteo Renzi prefiguravano una manovra pari ad oltre 90 miliardi. Le cifre riportate, invece, a bilancio per gli stessi impegni non vanno oltre i 4,5 miliardi. E’ vero che l’orizzonte temporale è diverso. Nelle slide si guarda al lungo periodo – esiste nella politica italiana? – mentre nel bilancio ci si limita ad un solo triennio. Ma la differenza, comunque, è tanta. E andrebbe quantomeno spiegata.