Addentrandomi, giorno dopo giorno inesorabilmente, nel Viale del Tramonto della vita, mi sto dedicando alla lettura di libri di storia, con particolare riferimento agli eventi della prima metà del ‘’Secolo breve’’ (il XX) e dei vent’anni intercorsi tra la Grande Guerra e la Seconda Guerra Mondiale: due tragedie di immense proporzioni che provocarono decine di milioni di morti, di feriti e mutilati, annientarono intere generazioni, distrussero città, scatenarono stragi, emigrazioni di massa, genocidi, inenarrabili violenze e crudeltà, guerre civili; seminarono odio, persecuzioni etniche e razziali, malattie, fame, miseria e disperazione; ridisegnarono più volte i confini geografici e politici del Vecchio Continente; determinarono condizioni inumane di schiavitù per milioni di uomini e donne. Uno dei miei nonni morì nella Grande Guerra, mio padre combatté in tutte le guerre scatenate dal fascismo e nella Seconda Guerra Mondiale. La mia generazione ha conosciuto gli anni difficili del dopoguerra, ma ha goduto di uno dei più lunghi periodi di pace e di benessere che la storia recente ricordi. I popoli europei si sono dati ordinamenti democratici ed istituzioni civili e sociali che hanno garantito diritti mai goduti in precedenza in nessun altra epoca storica. Sarà per questo che siamo vittime di un’allucinazione, di un grave errore di analisi, culturale ancor prima che politica ed economica. Viviamo nella ‘’Grande Illusione’’ (è il titolo di un celebre libro del pacifista inglese Norman Angell, scritto dopo la Grande Guerra e di un bellissimo film di Jean Renoir) per la quale i settant’anni che stanno alle nostre spalle rappresentano la ‘’normalità’, il modello di esistenza che gli esseri umani meritano di vivere. Per cui i diritti conquistati, usati ed abusati da un gruppo di generazioni, sono diventati la pietra di paragone della qualità della vita anche di quelle future. La realtà è un’altra. I settant’anni di relativa pace e di grande benessere che abbiamo alle spalle sono ormai racchiusi in una parentesi della storia e forse sono irripetibili.
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Ha ragione Carlo De Benedetti. Nella crisi anche la democrazia è in pericolo. Non è un dono che gli dei ci hanno consegnato per sempre. Si avvia ormai ad una tragica e disperata dissoluzione il sogno di un’Europa unita che – all’inizio del nuovo secolo con il proclama di Lisbona 2000 del Consiglio Europeo – adottò l’obiettivo strategico di “diventare l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale”. Il risorgere di una miscela maleodorante di nazionalismo e populismo viene considerato come un effetto della crisi e dell’incapacità dei Governi di dare risposte concrete e idonee a conservare quei regimi sociali ed economici che ci siamo abituati a considerare irrinunciabili. In realtà, sono il nazionalismo e il populismo tra le principali cause che porteranno al declino di un modello ambito del vivere civile. Il successo dei movimenti totalitari del secolo scorso si nutrì di populismo, di nazionalismo, di campagne dell’antipolitica, di irrisione dei vizi dei regimi democratici e delle classi dirigenti, di invidia sociale. Cominciò con la gogna, finì con i campi di sterminio.
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E se le migrazioni fossero una vendetta della storia contro il colonialismo?