“Fonti vicine ai piani di investimento del Qatar” confermano alla Reuters che è in progetto un aumento delle quote di partecipazioni in Deutsche Bank – già le più alte di tutte – da parte di due businessman di Doha: “L’acquisto di altri stock non è da escludere, sebbene non è da considerarsi imminente”, dice una delle fonti, ma, spiega un’altra, è certo che il Qatar non uscirà (allusione alle voci delle scorse settimane), perché “è un investimento a lungo termine e tutto andrà bene”. La banca sta vivendo una fase critica, il suo Ceo, John Cryan, dice che è sotto l’attacco degli hedge fund che stanno speculando contro l’istituto, mentre il dipartimento del Tesoro l’ha condannata a un risarcimento record da 14 miliardi di dollari per l’affaire dei mutui sub-prime, che potrebbe erodere più del previsionale di bilancio per le spese giuridiche. E ieri il Financial Times ha rivelato che la Bce avrebbe fatto un trattamento di favore al colosso tedesco in occasione degli stress test.
IL PIANO DEI QATARIOTI
Il controllo dei qatarioti salirebbe dal 10 per cento attuale, compreso opzioni, fino ad arrivare a circa il 25, ha scritto anche lo Spiegel (per questo le fonti della Reuters “confermano”). Le informazioni a disposizione dei media concordano sul fatto che ci sarebbero due personalità dell’inner circle dell’emirato che potrebbero impegnarsi in questo sforzo economico: Jassem bin Sheikh Hamad bin Jaber al-Thani (anche HBJ, per semplificare), l’ex primo ministro del paese, e suo cugino e socio in affari lo sceicco Hamad bin Khalifa al-Thani, ex emiro. I due avrebbero in programma di fornire supporto alla banca con nuovi capitali e acquisire, “con altri investitori”, “la quota del 25 per cento attraverso un’infusione di denaro fresco”, scrive lo Spiegel. HBJ e l’ex emiro sarebbero disposti dunque a più-che-raddoppiare la propria quota, ottenuta nel 2014 grazie alla mediazione dell’allora ex co-Ceo di Deutsche Bank Anshua Jain – molto criticato ed estromesso dall’incarico – e a prendersi più rischi, però a patto che la banca cambi la sua strategia: gli sceicchi vorrebbero che Deutsche giocasse un ruolo maggiore nel settore dell’investment banking globale, dicono gli analisti della Bloomberg, e inoltre spingono per cambiare la governance (“Sono troppo concentrati su questioni giuridiche, tutta la banca è governata da avvocati in questo momento. Questo deve essere cambiato” dice una delle fonti della Reuters). Il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, sarebbe già d’accordo sull’operazione: a Berlino interessa la pragmatica dell’obiettivo, salvare quello che i supervisori europei inquadrano come uno degli istituti bancari con la peggiore situazione patrimoniale. Le azioni DB hanno perso circa il 46 per cento rispetto alla fine dello scorso anno e questo implica che, per esempio, i due di Doha hanno già subito perdite per diverse centinaia di milioni, considerando l’investimento complessivo attorno ai 2,4 miliardi (azioni comprate con un valore di 29,92 dollari, mentre al momento della stesura di questo pezzo si attestano intorno a 12,47). Anche per questo l’investimento è questione che va valutata. A frenare il paese del Golfo potrebbero esserci anche altri fattori, per esempio una particolare legislazione tedesca che impone a chiunque possieda più del 10 per cento di una società quotata in Germania di essere soggetto a severe norme di comunicazione in pubblico dei propri movimenti finanziari. Inoltre, non va dimenticato che la famiglia reale del Qatar (a cui HBJ appartiene) e il fondo sovrano QIA (335 miliardi di dollari di attività stimate), hanno subito serie ripercussioni per lo scandalo delle emissioni truccate da parte della Volkswagen. Non bastasse, la crisi delle materie energetiche ha intaccato anche i fondi del Qatar, che è il principale esportatore di gas liquefatto al mondo.
IL DISIMPEGNO FORMALE DI BERLINO
Quel che è più sicuro è che il governo tedesco non vuole intervenire direttamente, o per lo meno vuol far passare pubblicamente questa idea: l’ultimo a ribadirlo è stato il vice cancelliere socialdemocratico Sigmur Gabriel, il 7 ottobre, anche se lunedì il Financial Times ha pubblicato un’indiscrezione a riguardo. Il giornale della City è stato il primo a rivelare che la banca tedesca avrebbe avuto un trattamento di favore dalla Vigilanza bancaria europea della Bce durante gli stress test (andati comunque molto male, si diceva) di quest’estate. In pratica la Bce avrebbe concesso di considerare tra il patrimoniale di DB la vendita delle quote di partecipazione nella banca cinese Hua Xia, ma l’operazione in realtà non è ancora conclusa, e anzi sta incontrando difficoltà regolamentari in Cina (anche se Deutsche si dice fiduciosa nel poter chiudere la cessione entro l’anno). La concessione esce dalle normali eccezioni, che riguardano per esempio spese con impatto sul conto economico e non operazioni di alta finanza con riscontri sul patrimoniale. Una questione che sta diventando un caso politico e diplomatico all’interno dell’UE: perché l’istituto tedesco ha potute godere di una concessione di cui altri, come la spagnola Caixa per esempio, non hanno potuto usufruire? Vigono in Europa regole di forza non scritte in cui il peso di Berlino esercita una pressione superiore sulle istituzioni terze? Stante il clima è evidente che il governo tedesco voglia cercare di tenersi, almeno formalmente, più disimpegnato possibile dalle vicende di DB, e per questo apre a collaborazioni come quelle del Qatar. Sul tavolo ci sono però anche movimenti che potrebbero coinvolgere grandi gruppi della Germania, alcuni dei quali hanno goduto in passato dell’aiuto di DB come partecipazione industriale e ora ricambierebbero il favore: secondo le rivelazioni del quotidiano economico Handelsblatt una ricapitalizzazione con un investimento pari ad alcuni miliardi di euro potrebbe essere mossa da Siemens, Basf, Daimler ed Eon.
CHI È HBJ
L’uomo che muove il piano di investimento qatariota, HBJ (per chiamarlo con l’acronimo con cui viene indicato nel suo mondo) è uno dei personaggi più sgargianti della finanza globale, con un patrimonio personale immenso e non del tutto definito; si parla di qualcosa come 1,5 miliardi, più gli enormi asset finanziari. Investimenti piazzati in mezzo mondo, anche attraverso varie società controllate, come la Paramount Holdings Services e la Supreme Universal Holdings che hanno in carico le quote di DB, entrambe off-shore rispettivamente tra Isole Vergini e Cayman – stessa bandiera la batte il suo yacht da 133 metri, “al Mirqa”, costruito al cantiere navale Peters Schiffbau di Wewelsfleth, in Germania. Ama il lusso, in una penthouse dello One di Hyde Park, uno dei complessi residenziali più esclusivi del mondo, costruito in piena Londra da lui stesso in joint venture con i fratelli Candy (i palazzaniri british del lusso), probabilmente tiene le “Donne di Algeri”, il Picasso che si è regalato pagandolo la cifra record di 179 milioni di dollari. Solo in Inghilterra ha azioni su Sainsbury’s, Barclays, Shell, ha ripreso Harrods a Fayed utilizzando il fondo sovrano di Doha, e sempre in quel mix monarchico qatariota dove il privato si confonde col pubblico e trovare i limiti dell’uno e dell’altro è impossibile, è diventato proprietario del Paris Saint German F.C. e dell’Intercontinental londinese di Park Lane, di palazzi sulla Quinta a New York; sono esempio, la lista è lunga. Durante una rara intervista ha ammesso che alcune delle ricchezze che aveva accumulato avrebbero potuto essere discutibili da un punto di vista occidentale, ma secondo gli standard del Qatar era tutto legittimo. Il soft power qatariota, quello che permette la convivenza tra la base americana e l’ufficio dei talebani all’interno di un paese con meno abitanti di Roma ma col reddito pro-capite più alto del mondo, la Coppa del Mondo di calcio del 2022 e il sostegno ai gruppi radicali in Siria, è molto legato alle dinamiche personali di HBJ e alla sua capacità di muovere capitali dove, e nel momento in cui, servono (nel 2013 il presidente turco Recep Tayyip Erdogan diceva di lui che “ha contribuito in modo significativo alla crescita dell’influenza del Qatar sulla scena internazionale”). Varie le beghe legali, dalle accuse di corruzione per la vendita di armi al suo paese da parte della BAE Systems, alle denunce di torture da parte di un suo ex portavoce, all’acquisto della petrolifera inglese Heritege Oil mentre era vincolato da norme diplomatiche. HBJ incarna il simbolo ambiguo del suo paese, l’unico non wahhabita del Golfo, vicino a Riad ma sufficientemente indipendente da poter tenere rapporti anche con l’Iran. Ora è consulente speciale per l’ambasciata del Qatar a Londra, un incarico di minor rilievo rispetto al ruolo centrale occupato fino al giugno del 2013, quando era contemporaneamente premier, ministro degli Esteri e Ceo dell’immenso fondo sovrano, il Qatar Investment Authority, che aveva sviluppato nel 2005. Scomparsa dalla scena politica con il rimpasto voluto tre anni fa dal nuovo emiro, figlio di Hamad Bin Khalifa, ha cominciato a prendere sempre più spazio personale in quella finanziaria globale, dove finora aveva mosso la QIA.