Il dibattito sui contenuti della riforma costituzionale che verrà votata il prossimo 4 dicembre verte soprattutto sulla legge elettorale, alla quale si obietta che potrebbe imprimere una deriva antidemocratica al Paese. Invero queste preoccupazioni hanno ben altre radici nel dettato approvato dalle due Camere che viene sottoposto a referendum. Esso infatti investe i modi di esercizio della sovranità popolare, rendendo irreversibili, come sperano i gruppi dirigenti del Paese, le sue cessioni già realizzatesi (sovranità monetaria e di regolare i mercati), e aprendo la strada alla cessione della sovranità fiscale in caso di crisi. Tutto ciò è avvenuto e avverrà impedendo al popolo di pronunciarsi in materia, come invece è permesso in altre democrazia evolute. Si afferma che la Costituzione del 1946 già proibiva al popolo di esprimersi sui trattati internazionali e, quindi, la riforma proposta non innova rispetto allo status precedente. Invece i mutamenti ci sono e sono incisivi.
I principali articoli coinvolti sono il 55 e 117 dell’attuale Costituzione e sono contenuti negli articoli 1 e 31 della riforma. Ne cogliamo solo alcuni aspetti (in neretto le parti rilevanti il problema qui sollevato).
L’art. 55 viene così riformulato: “Il Senato della Repubblica rappresenta le istituzioni territoriali ed esercita funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica. Concorre all’esercizio della funzione legislativa nei casi e secondo le modalità stabiliti dalla Costituzione, nonché all’esercizio delle funzioni di raccordo tra lo Stato, gli altri enti costitutivi della Repubblica e l’Unione europea. Partecipa alle decisioni dirette alla formazione e all’attuazione degli atti normativi e delle politiche dell’Unione europea. Valuta le politiche pubbliche e l’attività delle pubbliche amministrazioni e verifica l’impatto delle politiche dell’Unione europea sui territori“.
Qualcuno ha già sostenuto che il nuovo dettato dell’art. 55 crea complicazioni gestionali non da poco, proprio quelle che si volevano evitare per rendere più snella la formazione delle leggi, ma in materia non vi è stato alcun dibattito tra i principali partecipanti alla competizione tra il Sì e il No, né chiarimenti da parte del Governo e del Parlamento sul modo in cui il raccordo e la potestà legislativa verranno esercitati. Si può fondamentalmente ritenere che la Corte Costituzionale avrà un gran da fare, dato che l’applicabilità della riforma creerà conflitti di competenza e dissensi che aumenteranno presumibilmente i tempi degli iter legislativi e le tensioni con l’Europa, i cui rapporti sono già precari.
Ma il problema che qui viene posto non è solo quello dei tempi legislativi, ma come potestà legislativa e raccordo tra organi dello Stato si pongono nei confronti degli atti normativi e delle politiche dell’Unione europea. Si afferma con superficialità che nel nuovo dettato non c’è differenza rispetto a quello del 1946, dato che il precedente vincolo era nei confronti dell’”ordinamento comunitario”; secondo costoro il nuovo dettato si adatta ai mutamenti intervenuti negli accordi europei.
Si ignora o si finge di ignorare che il precedente vincolo era di mercato, mentre quello attuale riguarda cessioni di sovranità a un’organizzazione sovranazionale, che la precedente Costituzione non avrebbe dovuto permettere perché per essa la cessione di sovranità non è ipotizzabile senza sottoporre la decisione a referendum. Le élite hanno oggi in mano il potere di decidere le sorti del Paese disintermediando la sovranità popolare. Finché la libertà degli scambi era ben guidata ha portato benessere e questa norma non ha dato fastidi. Le cessioni di sovranità, pur incoerenti con la democrazia, sono state accettate per questi buoni risultati e perché si riteneva che l’Unione Europea le avrebbe gestite meglio di quanto l’Italia non avrebbe fatto. Posso testimoniarlo essendo stato vicino ai decisori dell’epoca; ma ora i risultati economici e politici negativi sono sotto i nostri occhi e siamo solo agli inizi.
Se questa lettura del nuovo articolo 55 non convince, quella del nuovo articolo 117 fornisce buoni chiarimenti: “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea e dagli obblighi internazionali. Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie: (omissis) e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari e assicurativi; tutela e promozione della concorrenza; sistema valutario….“.
Non credo vi siano dubbi sulla subordinazione della potestà legislativa italiana ai vincoli derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea e dagli obblighi internazionali, soprattutto se si valuta la maggiore flessibilità della prima rispetto alle rigidità della seconda, imposta sotto la minaccia del bazooka della speculazione finanziaria sul nostro debito pubblico, le nostre banche e altri aspetti non minori della nostra tenuta sociale. Per coloro – e tra essi illustri giuristi – che non vedono differenza tra il cambiamento del vincolo dall’”ordinamento comunitario” del vecchio dettato all’”Unione Europea e obblighi internazionali” (si pensi alla NATO) del nuovo, non ho argomenti diversi da quello di invitarli a ripensare al problema alla luce dei contenuti degli accordi di libero scambio susseguitesi dalla CECA alla CEE e quelli riguardanti la cessione di sovranità nazionale delineati con la CE e realizzatisi con l’UE.
I dubbi sulla portata del nuovo articolo 117 aumentano quando si statuisce che lo Stato ha potestà legislativa esclusiva sulla moneta e sul sistema valutario, che l’appartenenza dell’Italia all’euro e ai cambi fluttuanti della moneta europea non rende possibile senza riacquistare la sovranità monetaria ceduta. Credo che sia una palese contraddizione. Qualcuno dovrà pur spiegare queste cose all’elettore dopo averlo fatto per se stesso; e l’elettore ha il dovere di documentarsi e pronunciarsi coscientemente sulle conseguenze del suo voto.