Ci saranno ampi rilievi critici nel parere che il Consiglio di Stato divulgherà a giorni, la prossima settimana con tutta probabilità, sulla riforma della Pubblica amministrazione firmata dal ministro Marianna Madia. E’ quanto si apprende in ambienti governativi e sindacali.
Il parere, obbligatorio anche se non vincolante, avrà comunque un peso rilevante nella discussione in corso tra esecutivo, Parlamento, esperti del ramo e organizzazioni sindacali. Ne è consapevole il governo, in cui si stagliano due impostazioni, secondo la ricostruzione di Formiche.net: c’è una parte più dialogante e disponibile a rivedere modi e tempi di alcune disposizioni, mentre c’è anche chi, come il dicastero retto da Madia, tiene il punto rispetto a ipotesi di modifiche per evitare annacquamenti o proroghe.
Sta di fatto che tra i giuristi si parla di rilievi per nulla secondari che compariranno nel parere del Consiglio di Stato sulla riforma della Pubblica amministrazione e di un certo subbuglio in ambienti ministeriali per scongiurare passi più abrasivi di natura anche costituzionale. Secondo le indiscrezioni raccolte da Formiche.net, uno degli aspetti che sarà sollevato è quello che si va incidere in eccesso nell’autonomia di regioni ed enti locali.
Al centro dell’attenzione, in particolare, ci sarebbero modalità e fini del cosiddetto ruolo unico. Ha scritto di recente in un intervento su Formiche.net Arcangelo D’Ambrosio, segretario generale del sindacato dei dirigenti statali Dirstat: “Creare un ruolo unico dei dirigenti dello Stato rappresenta e ha rappresentato, in passato, notevoli difficoltà. I dirigenti statali appartengono, infatti, a ordinamenti diversi: presidenza del Consiglio dei ministri, ministeri, Consiglio di stato, Corte dei conti, Cnel, etc. sia con differenze normative fondamentali nonché del trattamento economico principale e accessorio. Le stesse difficoltà di cui sopra presenta la creazione del ruolo unico dirigenziale regionale, comprese Camere di commercio, Istituti per le case popolari etc. Difficoltà enormi, acuite dalle diversa distribuzione di dirigenti nelle varie regioni, che passa da un rapporto di 1 a 5 (un dirigente ogni 5 dipendenti) a rapporti da 1 a 60, 1 a 100 e via dicendo. Nelle regioni, poi, il trattamento economico è differenziato, con retribuzioni che sono il doppio o il triplo tra i dirigenti delle varie regioni. Stesso discorso, ma ancora più accentuato, per le differenze giuridiche ed economiche, esiste per il ruolo unico dei dirigenti degli enti locali. La gestione di tutti questi ruoli da parte del dipartimento della Funzione pubblica, della presidenza del Consiglio dei ministri si rivelerà qualcosa di non attuabile, sia sotto il profilo giuridico, sia sotto l’aspetto economico e normativo“.
Le preoccupazioni degli addetti ai lavori solcano anche dirigenti per nulla ostili pregiudizialmente rispetto all’azione del governo Renzi. Ecco ad esempio quello che ha scritto un dirigente ministeriale come Alfredo Ferrante, molto seguito e apprezzato sui social per gli interventi e le analisi sulla pubblica amministrazione: “Molte voci, pressoché isolate, lo denunciano da mesi: la precarizzazione della dirigenza, risultante dal combinato delle norme del decreto, che cancella il diritto all’incarico contenuto nella contrattazione collettiva, recherà con sé un vulnus mortale al principio costituzionale di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione. Le ricadute saranno non tanto in capo ai singoli dirigenti – tutto sommato una sparuta minoranza del cui destino importa assai poco alla stragrande maggioranza degli Italiani – ma ai cittadini stessi, i quali avranno come principali referenti donne e uomini sotto schiaffo, operanti in un perenne Purgatorio in cui l’umore della politica potrà determinarne la salita in cielo o la caduta negli inferi. Il tutto, peraltro, con ridottissimi margini di autonomia“.
Ben più corrosive e urticanti sono state le prese di posizioni espresse da alcuni dirigenti pubblici di lungo corso che hanno partecipato due giorni fa a un seminario di approfondimento a porte chiuse, proprio sulla riforma Madia, organizzato dal Forum PA e dalla Scuola di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” dell’Università di Firenze.
Proprio per non innescare attriti ulteriori rispetto a un rapporto già non troppo simpatetico fra il governo Renzi e la “casta dei mandarini di Stato” come talvolta il premier e segretario del Pd ha bollato dirigenti statali e giudici amministrativi, c’è chi nel governo – anche sulla base del parere in arrivo del Consiglio di Stato – auspica di non introdurre altri fattori polemici, in vista del referendum costituzionale del 4 dicembre si tenderebbe ad evitare.