La reazione strategica della Nato all’annessione dell’Ucraina da parte della Federazione russa, nel marzo 2014, si è oggi incentrata sulla difesa avanzata dei Paesi baltici, che sono sempre più importanti nella pianificazione geostrategica occidentale, e che controllano dall’Europa la zona artica, il punto in cui Mosca può più facilmente colpire gli Usa. L’Alleanza ritiene, evidentemente, che i Paesi baltici possano essere il prossimo “allargamento” della Federazione russa, così come è accaduto proprio con l’Ucraina.
Ma Mosca vuole, con maggiore probabilità, depotenziare e, è proprio il caso di dirlo, “finlandizzare” l’area baltica della Nato che, è ben noto anche in Russia, è un punto-chiave anche per gli interessi atlantici. Per non parlare, poi, delle ricchezze minerarie e petrolifere del Polo nord, che sarebbero davvero il game changer economico per l’intero sistema russo. E la soluzione per sostituire, da parte della Russia, i Paesi Opec mediorientali, con pozzi petroliferi in fase di maggiore o minore esaurimento. La parte russa dell’Artico è l’area di estrazione per circa l’80 per cento del petrolio di tutto l’estremo nord, soprattutto nell’area della provincia autonoma russa di Khanty-Mansiysk, oltre a 11 basi di estrazione offshore nel Mare di Barents, 182 nel Mare di Kara e un numero elevato (185) nella regione autonoma russa di Nenets. L’Artico sarebbe, quindi, l’area in cui la Russia diviene leader globale del mercato degli idrocarburi. Per i minerali, l’area russa dell’Artico detiene quantità ingenti, ma non ancora esattamente misurate, di rame, oro, nickel, uranio, ferro, tungsteno e diamanti. Anche qui, l’area artica russa è di gran lunga la più ricca in minerali rispetto alle altre, come peraltro accade, lo abbiamo già visto, con gli idrocarburi.
La Russia protegge il suo Artico per evitare la dipendenza economica futura dall’Ovest, e per diversificare la sua economia. Se gli Usa colpiscono l’Artico russo, distruggono il futuro delle risorse di Mosca.
Quanto sopra notato ci fa pensare che il contrasto russo con la Nato riguardo ai Paesi baltici sia anche uno scontro con l’alleanza occidentale per il controllo e la sicurezza delle vie più razionali di comunicazione tra la Russia e le sue ricchezze artiche. Per eliminare, così, la possibilità di basi ravvicinate Nato sulla via tra Mosca e le sue potenzialità economiche nel Polo nord.
La questione è se la Russia sarà capace di sfruttare appieno il suo petrolio e il suo gas artico. Gazprom e Rosneft non hanno ancora la tecnologia per estrarre il gas naturale e il petrolio, mentre le sanzioni occidentali non permettono alle società russe di ottenere all’ovest le tecnologie necessarie. E i prestiti limitatissimi ottenibili da Mosca in occidente, sempre secondo le sanzioni, non consentono certo il finanziamento autonomo di tali tecnologie avanzate.
Secondo la Iaea, l’agenzia petrolifera Usa, il petrolio artico russo non diventerà generatore di profitti se non quando il prezzo al barile arriverà a 120 Usd. Ma non è questo il problema: Mosca sa che tra poco il petrolio mediorientale comincerà a scarseggiare, e venderà i suoi idrocarburi al prezzo (politico) più elevato possibile.
La soluzione ideale, per la Federazione russa, può essere quindi solo il nesso stabile con la Cina, almeno per soddisfare il primo obiettivo strategico di Mosca sul suo mercato degli idrocarburi: diminuire fortemente la dipendenza dall’Ue.
Ma ci sono anche altri paesi in lista di attesa. Per esempio, nel novembre 2014, Mosca ha offerto all’India un piano comune per lo sfruttamento del petrolio e del gas dell’Artico e della Siberia, area che la Russia ritiene strategicamente omogenea e politicamente contigua al Polo Nord.
L’estrazione di gas naturale non soddisfa oggi, per le quantità, Putin: il Presidente vorrebbe passare dal 5 per cento del mercato mondiale prodotto dalla Russia ad almeno il 10 per cento. Proprio per questo ha chiesto all’India una collaborazione paritaria, da condurre in porto insieme alla Cina.
Se la Nato progetta quindi un suo “ramo nord”, Mosca sta invece elaborando un triangolo strategico Russia-Cina-India che è per ora in gran parte economico, ma sarà ben presto politico, militare e strategico.
L’Artico è comunque, per la Russia, sia una questione geoeconomica che un mito geopolitico e patriottico: i russi presenti in una missione svedese al Polo nord del 2007 piantarono una bandiera russa di titanio sul fondo marino, per definire l’area come “territorio nazionale” a tutti gli effetti. Insomma la Russia, per la sua attuale dottrina di politica estera, vuole diventare grande potenza, come ai tempi dell’Urss, ma senza i limiti di quel sistema. Ed ha quindi, soprattutto, paura dell’accerchiamento da parte di potenze grandi e piccole, e questo spiega infatti gran parte degli atteggiamenti attuali di Mosca.
La strategia artica dei russi, comunque, è quella di rendere la loro lunghissima costa polare utile anche per il commercio marittimo e, lo abbiamo già accennato, utilizzare l’area del Polo nord come il necessario plus per diventare una superpotenza petrolifera ed economica. La linea artica è molto più breve, in linea di massima, di quella che utilizza il Canale di Suez e anche la Cina parteciperà a questo progetto, con i suoi porti del Nord-Est come Dalian, dal cui bacino è partita, l’otto agosto 2003, giorno fortunato nella tradizione cinese, il primo rompighiaccio cinese diretto nell’Artico, la nave Yong Sheng. Da Dalian a Rotterdam, passando per l’Artico, la nave cinese ci ha messo tredici giorni in meno rispetto al tragitto tradizionale diretto a Suez. Naturalmente, a Mosca, è presente anche la considerazione, tutt’altro che secondaria, secondo la quale la linea artica è il confine più lungo tra Federazione russa e Usa.
Ecco quindi perché la Nato cerca di riassicurare i Paesi baltici, che temono soprattutto di fare la fine dell’Ucraina e di diventare, così, il passaggio più comodo, per la Russia, per arrivare al Polo nord dall’ovest e per controllarlo.
Ma la Federazione russa non vuole “prendersi” i Paesi baltici più piccoli, vuole solamente avere un diritto di libero passaggio ed una assicurazione strategica e politica che dal Baltico non partiranno attacchi verso la Russia.
Ma torniamo alle operazioni Nato nell’area del Mare del Nord e delle sue coste: l’esercitazione navale Baltops, formata da navi di 17 Paesi, ha avuto inizio il 5 Giugno 2016 ed è terminata il 20 di quel mese.
Ben 49 navi, con esercitazioni importanti di guerra sottomarina, e con azioni anfibie alle quali hanno partecipato 700 soldati svedesi, americani e finlandesi; e infine con una forza aerea composta da 61 aviogetti e la partecipazione della Georgia e di altri tredici alleati non-membri della Nato.
Le esercitazioni dell’Alleanza atlantica nel Mare del Nord sono sempre state molto importanti: è da un’operazione del genere che si staccò un sottomarino, probabilmente britannico, che poi andò ad attaccare e affondare il notissimo Kursk, il sommergibile russo che disponeva dell’evolutissimo VA-111 Skval, un siluro dai 7 ai 13 chilometri al secondo.
Oltre alla Baltops, i tre Stati baltici hanno costituito un’alleanza militare autonoma, nel novembre 2014, denominata Nordefco, mentre la
Danimarca e la Svezia hanno concordato una stretta collaborazione per la difesa nel gennaio 2016. Per l’Alleanza Atlantica, Nordefco dovrebbe essere rapidamente ampliata soprattutto agli Stati europei come la Germania, la Gran Bretagna, la Francia, La Polonia e gli Stati Uniti, quasi un embrione di quella “Nato del Nord” che alcuni teorizzarono all’inizio di questo millennio.
Ma, ripetiamo, la valutazione strategica del nemico riguarda ancora, qui, la vecchia idea, secondo noi errata, per la quale la Russia vorrebbe semplicemente riprendersi tre territori ex-Urss, l’Estonia, la Lettonia e la Lituania.
Non crediamo che questa sia la motivazione strategica di Mosca: la Russia vuole solo garantire la sicurezza delle sue linee marittime, della sua comunicazione con l’Artico nonché dell’equivalenza dei potenziali bellici con gli Usa nel lungo confine artico tra i due grandi Paesi.
Ma vi sono anche delle rivendicazioni territoriali russe sull’Artico, che sono di rilevante significato politico.
Nel 2007, due batiscafi Mir hanno raggiunto la massima profondità del Polo nord.
Il mezzo navale ha dimostrato scientificamente che le dorsali sottomarine Lomonosov e Mendeleiev, che raggiungono la Groenlandia, sono una estensione geologica della piattaforma continentale russa. Ciò permetterebbe a Mosca di rivendicare diritti di esplorazione per altri 1,2 milioni di chilometri nell’Artico, il che porterebbe alla possibilità di sfruttare autonomamente i grandi giacimenti di petrolio dell’area Chikotka-Murmansk-Polo nord.
È un’evidente minaccia alla quasi totale egemonia Usa, oggi, sull’area polare artica, tema essenziale della strategia globale di Washington. Le basi militari di Washington sono scarse e, soprattutto, la strategia Usa si basa sui rompighiaccio, per l’esattezza 12 in piena attività, oltre a due nuove navi di recentissima costruzione.
Ma anche qui l’America è indietro rispetto alla Russia: Mosca possiede 22 rompighiaccio e altri 19 vascelli adattati al clima dell’Artico. La differenza a favore degli Usa è quella riguardo ai sottomarini, 41 americani (e nucleari), mentre la Russia possiede solo 25 vascelli di quella tipologia.
Per le forze sul terreno, gli americani hanno tre brigate in Alaska, ognuna composta da tremila soldati.
Sono poi in programmazione due nuovi squadroni aerei, con aeromobili stealth, in una base vicino a Fairbanks, in Alaska.
Insomma, la maggiore forza nell’Artico è ancora quella degli Usa, i Russi sono indietro nella costruzione delle loro forze artiche. E i vari tentativi, da parte della Nato e dei Paesi occidentali rivieraschi del Mare Artico, per decidere da soli le aree di controllo e le rispettive modifiche territoriali, oltre alla presenza di basi militari Usa sulla loro fetta di Polo nord, hanno portato i russi a militarizzare la loro area artica, per difendere le loro reti estrattive ed evitare anche l’”ascolto” dei loro segnali da parte di Washington.
La rete di difesa di Mosca è così oggi prevista: nuove basi aeree nella Terra di Francesco Giuseppe e a Tiksi, Narjan Mar, Alykel e in altre quattro aree; basi navali nella Terra di Francesco Giuseppe e nelle isole della Nuova Siberia; basi di fanteria: la prossima creazione del Gruppo Artico Nord e di due brigate artiche, una di fanteria motorizzata a Murmansk e l’altra nel distretto di Nenets. Il reggimento per la guerra elettronica della Flotta del Nord è stato schierato ad Alakurtti, vicino a Murmansk; cinque centri di radar fissi a Sredni, Terra di Alessandra, Isola Wrangel, Juzhnii e Chukotka; le postazioni di difesa aerea: il sistema Pantsjr-S1 è già stato adattato al clima artico e ai differenti modi d’uso nel freddo estremo; un comando strategico unificato tra Flotta del Nord, brigate artiche, aeronautica, difesa aerea e centri di intelligence elettronica e da segnali.
L’Artico, il suo controllo, è l’assicurazione che la Russia continuerò a essere una potenza globale sul piano energetico, mentre sul piano strategico il Polo nord è già parte del sistema di difesa missilistica degli Usa, che potrebbe indebolire il potenziale nucleare russo e quindi rendere irrilevante Mosca sul piano geostrategico.
È l’Artico quindi l’area nella quale, in futuro, più si farà sentire, secondo la valutazione dei decisori moscoviti, la pressione dell’alleanza atlantica, che non opererà sovvertendo la popolazione con le “rivoluzioni colorate”, dato che nell’Artico popolazione non v’è, ma minaccerà direttamente l’apparato militare russo nell’area e quindi anche nel centro-sud della Russia.
Data, poi, la tendenza ormai stabile allo scioglimento dei ghiacci, l’Artico diverrà sempre di più una zona di potenziale guerra convenzionale. La Nato, quindi, utilizzerebbe l’area baltica come zona di securizzazione delle sue operazioni nel Polo nord, mentre si prevede una remota e irrazionale invasione di Estonia, Lituania e Lettonia.