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Chi non vuole mandare in fumo le sigarette elettroniche

Sganciare la regolamentazione del mercato e la disciplina fiscale delle e-cigs da quella dei tabacchi. Anche per evidenti differenze materiali: nelle sigarette elettroniche non c’è né tabacco, né combustione, e dunque non c’è fumo, ma la vaporizzazione di liquidi e aromi, contenenti o meno nicotina.

E’ stata la tesi esposta in un workshop organizzato giovedì 20 a Roma da Strade Magazine e da Vapitaly e discussa alla presenza di medici, ricercatori, operatori del settore, giornalisti e di una decina di parlamentari e rappresentanti della gran parte dei gruppi politici, dai Pd Susta e Dalla Zuanna alla forzista e vicepresidente della Commissione sanità di Palazzo Madama Rizzetto, passando per Di Biagio di Ap, Civati di Possibile e Abrignani di Ala, oltre alla tosiana Bellot, alla radicale Bernardini, alla Galgano di Civici e Innovatori e agli ex grillini Orellana, Romani.

Poche ore prima, in un question time alla Camera la ministra Lorenzin aveva risposto a un’interrogazione della Galgano che le chiedeva se e come intendesse dare attuazione ai suggerimenti del “Comitato Scientifico per la ricerca sulla sigaretta elettronica”, guidato dall’ex ministro della sanità Umberto Veronesi e dal Prof. Riccardo Polosa, ordinario di medicina interna presso l’Università di Catania e direttore scientifico della Liaf (Lega italiana anti fumo), che sostenevano la promozione del vaping nell’ambito delle politiche sanitarie di contrasto dei danni da fumo. La ministra Lorenzin si era trincerata dietro la necessità di ulteriori approfondimenti, demandati ai preposti uffici ministeriali, sulla possibile nocività della sigaretta elettronica. “È una posizione senza senso, perché si fuma per la nicotina, ma si muore per il fumo e non c’è più nulla di dimostrare quanto al fatto che assumere nicotina senza fumare e quindi sostituendo in tutto o in parte le sigarette con le e-cigs comporta un beneficio certo sia rispetto al rischio di malattie oncologiche che cardiovascolari”, ha affermato durante il workshop il prof. Umberto Tirelli, direttore del dipartimento di oncologia medica dell’Istituto nazionale dei tumori di Aviano, spiegando che proprio nei Paesi come il Regno Unito dove il vaping è promosso da parte dei medici il consumo di tabacco è diminuito più drasticamente. Non avrebbe senso, dunque, aspettare qualche decennio per capire se e quali rischi siano legati all’uso delle e-cigs, quando è chiarissimo che, se mai esistessero, sarebbero del tutto imparagonabili a quelli del fumo. A sostegno di un approccio di “riduzione del danno” è intervenuto anche il prof. Pasquale Caponnetto, docente di psicologia clinica a Catania, spiegando che la maggiore efficacia dell’e-cig nella riduzione del consumo e nell’abbandono delle “bionde”, a fronte di strategie alternative, è ampiamente certificato nella letteratura scientifica internazionale e anche in studi effettuati in Italia.

Le cosiddette sigarette elettroniche sono sbarcate in Italia all’inizio di questo decennio in modo molto visibile. Nelle vie di molte città e paesi italiani aprivano quasi ogni giorno rivendite di queste nuove “sigarette”. Il legislatore non ci mise molto ad accorgersi del fenomeno e a sottoporre le e-cig, come prodotto succedaneo, a una tassazione analoga a quella dei tabacchi, con una imposta di consumo del 58,5 per cento. Questa tassa non riguardava solo i liquidi vaporizzati, ma tutte le attrezzature (compresi i vaporizzatori, le batterie, i cavi ….). Il risultato fu un crollo del mercato, sia dal lato dell’offerta che della domanda. I ricorsi dei produttori portarono a una prima pronuncia della Corte Costituzionale nel 2015 che dichiarò incostituzionale l’imposta. Nel frattempo, ipotizzando questo esito, il legislatore aveva cambiato la disciplina, con una imposta di consumo prevista sui soli “liquidi da inalazione”, contenenti o meno nicotina, in misura pari al  cinquanta  per  cento   dell’accisa   gravante  sull’equivalente quantitativo di sigarette. Un’imposta di €3,73 per 10ml di liquido da inalazione (circa €4,50 comprendendo l’Iva), contenente o meno nicotina.

Anche questa imposta è stata impugnata dinanzi al Tar che ha prima sospeso in via cautelare il pagamento dell’imposta prevista per i liquidi non contenenti nicotina e ha quindi sollevato una nuova questione di costituzionalità tuttora pendente dinanzi alla Consulta, di cui è attesa a breve la pronuncia. Peraltro, l’obiettivo di gettito che era stimato in circa 115 milioni di euro, non ha superato nel 2015 i 5 milioni di euro.

Intanto, dopo il pesante contraccolpo, i consumi hanno ripreso a crescere. Nel 2016 per la prima volta, dopo 3 anni, c’è un sensibile incremento dell’uso della sigaretta elettronica, certifica l’Istituto superiore di Sanità: “Gli utilizzatori di e-cig sono infatti passati dall’1,1 per cento del 2015 al 3,9 per cento del 2016 (nel 2014 erano l’ 1,6 per cento). Coloro che la usano abitualmente nel 2016 sono il 2,3 per cento (nel 2015 erano lo 0.7 per cento), mentre coloro che la usano occasionalmente sono l’1,6 per cento ( nel 2015 erano lo 0,4 per cento)”. La maggioranza dei circa due milioni di vapers italiani sono comunque consumatori duali, cioè continuano anche a fumare tabacco, ma in misura inferiore. I dati dell’Istituto superiore della sanità sono anche quelli più usati dai detrattori del vaping, perché dimostrano che meno di un vaper su quattro smette del tutto di fumare.

Mosè Giacomello, il presidente di Vapitaly, la Fiera internazionale del vaping che si tiene ogni anno a Verona e che nel fine settimana sbarca all’ex Mattatoio di Testaccio per la sua prima “due giorni” romana, ha avvertito che la situazione di incertezza normativa e l’assenza di un quadro regolatorio stabile, anche se non impedirà la crescita dei volumi di mercato del vaping, spinto dall’innovazione tecnologica e da una maggiore cultura della salute, rischia di danneggiare i produttori italiani a vantaggio di altri produttori europei e internazionali e di deprimere un settore produttivo che, ai suoi inizi, aveva un profilo marcatamente “made in Italy”.

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