“Ma basterebbe che il presidente del Consiglio mi chiedesse anche solo velatamente di fare un passo indietro, per spingermi a farlo subito. Lo farei senza rancore, perché mi piace troppo fare quello che facevo prima». Così Tito Boeri conclude la sua intervista shock al Corriere della Sera dopo aver affermato che, per quanto lo riguarda, non ha intenzione di dimettersi. Al posto del presidente del Consiglio e di Tommaso Nannicini (ma, come dice, la canzone “al vostro posto non ci so stare”) quel velato segnale lo manderei, perché un “funzionario pubblico” non può permettersi svarioni istituzionali tanto frequenti come quelli a cui ci ha abituati il presidente Boeri. Diventa sempre più difficile capire per quali motivi Matteo Renzi volle dare un improvviso ben servito ad una persona competente sul piano tecnico e su quello politico, come Tiziano Treu (salvo poi associarlo al brain trust di Palazzo Chigi) e mettere al suo posto un professore, senz’altro preparato, ma convinto di essere il “Garibaldi” della previdenza. Non si dimentichi mai che è stato l’Inps (e cioè Boeri stesso) a dar corso al tormentone della flessibilità in uscita del pensionamento, contribuendo a creare un’aspettativa nell’opinione pubblica, come se questa soluzione fosse inevitabile e giusta. Con l’Ape (nelle sue diverse tipologie) il Governo ha cercato di metterci una pezza. Certo, ci ha poi aggiunto del suo (come l’estensione della quattordicesima che è una misura particolarmente discutibile). Ma non è vero che la proposta Boeri sulla flessibilità sarebbe costata meno dell’Ape. Secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio (UPB) ’nello scenario “Boeri” le circa 58.000 pensioni in più del 2017 sarebbero salite gradualmente a 215.000 circa del 2024. La maggior spesa sarebbe ammontata a 650 milioni di euro nel 2017 e a poco meno di 1,5 miliardi nel 2018, per poi seguire un trend crescente sino a toccare i 2,8 miliardi nel 2024. Questo importo vale per uno solo degli aspetti della manovra che il Governo intende compiere.
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Nella proposta dell’Inps (“Non per cassa ma per equità”) il finanziamento sarebbe stato parzialmente a carico di un taglio, con criteri cervellotici, sulle pensioni più elevate. Il che avrebbe solleticato la demagogia imperante nel nostro Paese ed accontentato i conati di invidia sociale che si manifestano nel caso delle pensioni. Salvo mettere poi, tra qualche anno, il Governo nella condizione di dover risolvere, dalla sera alla mattina, gli effetti economici di una bocciatura della norma da parte della Consulta, dal momento che secondo la giurisprudenza costituzionale non si scherza né si alambicca con i diritti acquisiti.
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Su Facebook l’ex ministro Pd ed ex sindaco di Padova, Flavio Zanonato, ricorda che cosa è scritto nell’articolo 3 del Manifesto del Pd a proposito della difesa dei valori della Costituzione e della condanna del metodo di imporre delle riforme a maggioranza.