Tempi cupi per i militari: prima anni di tagli ai bilanci della Difesa, poi un impegno non troppo convinto nella lotta contro Isis e Al Qaeda. L’attività antiterrorismo ha prodotto un aumento delle spese per le operazioni militari, ma non ha portato incrementi di spesa per l’acquisto di nuovi armamenti. Ecco la loro strategia per riprendere il controllo.
Con l’imminente perdita dell’identità territoriale del sedicente Califfato, gli analisti più frettolosi sono portati a sottovalutarne la minaccia militare e la seduzione del messaggio fondamentalista sulle classi più diseredate e meno integrate. Prevedono un sempre minore impegno nella guerra contro il terrorismo – e quindi nelle spese militari – senza rendersi conto che Isis non sta per essere sconfitto ma sta semplicemente per nascondersi dove sarà più difficile stanarlo. Ma di questo abbiamo già parlato.
Per il Pentagono è tempo di nuove strategie. Dopo Isis, altri tre fattori – nati in tre diversi Continenti: America, Europa e Asia – spaventano i vertici militari.
Il primo fattore è interno: sembra che Hillary Clinton abbia un margine sufficiente negli ambienti più civilizzati, ma l’elettorato di Donald Trump si va dimostrando più imprevedibile e insondabile del loro stesso paladino. Per questo i sondaggisti scommettono sulle prossime elezioni tenendo le dita incrociate dietro la schiena. Comunque vada, però, entrambi i candidati alla presidenza Usa non si sono dimostrati troppo entusiasti su un possibile allargamento dell’azione diplomatica e militare americana all’estero.
Ma quello che spaventa maggiormente i militari è il rischio che il colosso industriale europeo, in particolare la Germania, si saldi con il colosso energetico russo; perché questo porterebbe alla creazione di una superpotenza economica nel vecchio continente.
Infine, i cinesi stanno approfittando della situazione e, quatti quatti, stanno estendendo la propria egemonia militare, energetica, commerciale ed alimentare sulle risorse del Mare Cinese Meridionale.
Per questo, gli uomini con le stellette stanno cercando di riprendere il controllo della situazione con un vecchio trucco già teorizzato da Giulio Cesare quando esaltava la forza militare degli avversari Galli e Pompeiani per esaltare di riflesso il proprio eroismo. Sbiadita ormai la minaccia dei comunisti – cui ormai crede solo Berlusconi – con un po’ di tinteggiatura ecco apparire la nuova minaccia globale 2.0: l’Orso Russo (è sempre la stessa ma gli hanno cambiato il nome). Così risulta più facile influenzare l’amministrazione Obama – ormai uscente. Insomma, occorre una sana minaccia militare vecchio stile con costosi e sofisticati aerei, missili e carri armati che gonfiano i bilanci.
In questa logica si inserisce la creazione di sistemi antimissile in Europa, l’ingresso nella Nato e la realizzazione di basi militari nelle repubbliche baltiche ex sovietiche o la creazione di supercannoni a rotaia.
Ma anche l’esaltazione dello scandalo attorno alla fuga di email del Comitato Nazionale Democratico e le ipotesi di un possibile hackeraggio russo sui sistemi informatici che gestiranno il voto presidenziale.
Infine, lo stesso disegno ha portato alla fuga controllata di notizie secondo le quali l’amministrazione Usa ha commissionato alla Cia lo sviluppo di un cyber-attacco contro la Russia per “mandare un messaggio al Cremlino” come poi ha dichiarato lo stesso vicepresidente Biden.
Intanto, anche nell’ultimo vertice Ue, parlando di possibili nuove sanzioni alla Russia, l’Europa “si costerna, s’indigna, s’impegna, poi getta la spugna con gran dignità”, come cantava De Andrè.
Sanzioni che, peraltro, sono state promosse soprattutto dalla Germania ma che non le hanno impedito di concludere l’accordo per il raddoppio del North Stream, la pipeline che collegherà direttamente Vyborg in Russia con Greifswald in Germania – dove il gasdotto è collegato alla rete onshore tedesca – e da qui al sistema continentale europeo permettendo a Berlino di porsi come il principale distributore energetico europeo. Per questo, il progetto da oltre dieci miliardi di euro vede a Berlino un totale accordo dell’intera coalizione di governo. Coalizione che, contemporaneamente, ha però recentemente ottenuto il prolungamento delle sanzioni contro la Russia stessa. Ma la Germania ha già dimostrato di essere maestra nell’intrattenere rapporti commerciali con il nemico quando questo le fa comodo: si pensi alle importazioni dei materiali che scarseggiavano in Patria dalle americane Standard Oil, Ford e ITT proprio in piena Seconda Guerra Mondiale.
Intanto l’Italia fa qualche dichiarazione ma resta alla finestra: per le sanzioni si calcola che abbia perso 32 miliardi di euro di commesse con la Russia (miliardo più miliardo meno è l’equivalente di quanto noi abbiamo prestato a fondo perduto alla Grecia quando ormai era troppo tardi per salvarla). Ma ha mandato 140 soldati italiani a difendere i 217 km di confine della Lettonia.
Ora gli analisti di tutto il mondo si chiedono non se ma dove scoppierà l’incidente. Fra il Mediterraneo orientale e la Siria? Nel Mar Baltico sopra i cieli della Lettonia? Nella sempre turbolenta Ucraina? E coinvolgerà solo militari o anche qualche aereo di linea o villaggio? E, soprattutto, come riusciranno a tirare il freno per evitare la guerra?