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Vi spiego la guerra anti Isis a Mosul

isis, carlo jean

Sta per iniziare l’attacco per la riconquista di Mosul. La terza città irachena era stata occupata dall’Isis nel giugno del 2014. Nella sua grande moschea, nel luglio successivo, Abu Bakr al-Bagdadi aveva proclamato il Califfato. Nella città, fortificata, con gallerie, trincee e campi minati, sono trincerati da 4 a 5.000 miliziani del Daesh. Malgrado le ripetute sconfitte sembrano ben decisi a resistere. Rimangono a Mosul diverse centinaia di migliaia – forse un milione – di civili. Sono arabi sunniti, turkmeni, curdi, cristiani e yazidi. La coalizione anti-Isis ha lanciato decine di migliaia di volantini per indurre i civili a lasciare la città prima dell’inizio dell’attacco. Probabilmente, un gran numero di abitanti cercherà di porsi in salvo nel Kurdistan iracheno. Eviterà di rifugiarsi in Siria, lungo la strada per Raqqa, lasciata aperta dalle forze attaccanti, che stanno circondando Mosul, per lasciare ai combattenti dell’Isis una via di fuga. Qualora non si ritirassero, come fatto la settimana scorsa a Dabiq in Siria, Mosul verrà distrutta e si dovrà combattere per mesi fra le sue rovine.

Il numero dei soldati della coalizione varia secondo le fonti: da 25 a 40.000 combattenti. Essi hanno circondato Mosul, lasciando aperto solo il corridoio per Raqqa. Parteciperanno all’attacco l’esercito e la polizia nazionali iracheni, alcune milizie tribali sunnite e turkmene, addestrate dalla Turchia, i peshmerga curdi, sostenuti anche dall’Italia, e le milizie sciite della “mobilitazione popolare”, appoggiate dall’Iran. La creazione di tale variegata coalizione è stata resa possibile sia dall’esistenza dell’Isis sia dalle pressioni Usa. Determinante per il suo successo sarà l’appoggio aereo americane e, in minima parte, francese. Da giorni sono stati intensificati i bombardamenti delle posizioni dell’Isis.

La riconquista di Mosul darà un duro colpo all’Isis, ma non lo distruggerà. Probabilmente lo indurrà a trasformarsi da proto-stato in organizzazione terroristica. Dopo la perdita di Dabiq, la sua rivista, che prendeva il nome da tale città – in cui secondo la profezia di Maometto avrebbe dovuto svolgersi lo scontro decisivo fra l’Islam e la Cristianità – ha mutato nome in quello di Rumiyak, antico termine arabo per Roma. L’attacco a Mosul, anche se vittorioso, determinerà poi vari effetti. Il primo, che influirà sul futuro dell’Iraq, è che scoppi un conflitto fra le milizie sciite, sunnite e curde. Il premier iracheno Haider al-Abadi ha cercato di evitarlo, ordinando che curdi e sciiti non entrino a Mosul, città prevalentemente sunnita. Il secondo rischio è che si determini uno scontro fra i 3-4.000 soldati turchi, schierati a 15 km a Nordest di Mosul, con le forze irachene. Il presidente Erdogan – che sicuramente condivide le pretese di Kemal Ataturk su Mosul e l’intera provincia di Ninive – ha affermato il suo diritto a partecipare alla riconquista di Mosul, malgrado le proteste del governo di Baghdad. Al-Abadi considera la presenza turca un atto d’aggressione all’Iraq. Ankara non può rinunciarvi. Aspira ad essere leader del mondo sunnita contro lo sciita Iran. Intende poi sfruttare l’attacco a Mosul per evitare il ricongiungimento dei Kurdistan iracheno e siriano. Un terzo rischio è la prevedibile catastrofe umanitaria. Molti civili rimarranno intrappolati a Mosul. Nel Kurdistan iracheno sono stati predisposti solo 60.000 posti per rifugiati, mentre verosimilmente essi saranno varie centinaia di migliaia.

Il pericolo maggiore è il primo. Sunniti, sciiti e curdi – per non tener conto dei turkmeni e degli yazidi – perseguono obiettivi differenti. Non sembrano disponibili a compromessi che ne permettano la convivenza. Al suo interno ciascun gruppo è poi diviso in fazioni ostili, pronte a combattersi. I contrasti potrebbero esplodere dopo la conquista di Mosul e la scomparsa di un nemico comune. Gli Usa hanno già difficoltà ad evitare scontri fra Ankara e Baghdad. Tendono a riconquistare Mosul prima della fine della presidenza Obama, anche per marcare il suo successo nella storia, dopo le tante delusioni subite nel Medio Oriente. La Russia sta a guardare. Sembra indecisa se sostenere i sunniti o gli sciiti, cioè la Turchia o l’Iran. Può darsi che Putin aspetti l’occasione buona per entrare nel gioco, forse con il ruolo del mediatore e del pacificatore. Sarebbe un nuovo scacco per Washington. Le sottrarrebbe ogni merito per la conquista di Mosul e la sconfitta dell’Isis.


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