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Perché Hillary Clinton ha fatto flop

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Prima un cattolico, poi un nero, ora una donna (preferita a un ebreo). Niente da obiettare, lo esige la democrazia, in nome della eguaglianza. Kennedy, primo e unico cattolico, andò alla Casa Bianca solo nel 1961 dopo 34 presidenze Wasp, Obama nel 2009. In una America tanto cambiata rispetto a quella dei Pilgrim Fathers, Hillary Clinton sperava di farcela, dopo 44 presidenze di sesso maschile, invece ha fatto flop.

Gli Stati Uniti, nel 1776, furono fondati dai Wasp: Bianchi (White), anglo-sassoni (Anglo-saxon) e protestanti (Protestant). I cittadini delle 13 colonie uniti per ottenere l’indipendenza erano inglesi di lingua, cristiani riformati di religione, permeati dei valori politici britannici (rispetto della legge, responsabilità dei governanti, diritti degli individui), animati da un’etica del lavoro che, come nel calvinismo, collegava i successi dell’imprenditore alla predestinazione divina. Non a caso sul dollaro è scritto: «confidiamo in Dio» (in God we trust). E la parola Dio è la prima nella «Dichiarazione d’indipendenza».

In altre parole, l’America aveva una cultura anglosassone prevalente o meglio era una nazione fondata sulla religione come forza trainante della politica. Più di tutti lo capì Tocqueville, nel suo viaggio negli Usa del 1831. La religione e lo Stato erano separati, ma si permeavano reciprocamente: «Lo spirito di religione era ammirabilmente combinato con lo spirito di libertà; l’America è il paese del mondo in cui la religione cristiana ha conservato il maggior potere sulle anime» (La democrazia in America, I, 2, 9). Era naturale che in questa unità culturale emergessero difficoltà a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, quando l’enorme sviluppo industriale degli Stati Uniti sollecitò una vasta immigrazione di popoli e razze diverse. Gli Stati Uniti divennero sempre più una nazione multirazziale e multiculturale, che rispettava le diverse identità degli immigrati, ma solo dentro il primato del «credo americano» anglo-protestante.

La vera trasformazione degli States avvenne nella seconda metà del Novecento. Che non fu solo prodotta da una massiccia immigrazione dal Centroamerica, ma da una rivoluzione culturale che mise in discussione tutta la precedente morale sociale. Per la prima volta, gli immigrati hanno rifiutato l’integrazione e si sono costituiti come comunità americane solo perché arrivati negli Stati Uniti. Questo rifiuto della americanizzazione da parte dei nuovi immigrati ha trovato un forte appoggio nel predominio dei radicali (liberals) nella élite intellettuale, nell’ istruzione e nei mass-media. Essi sono riusciti a produrre una decostruzione della identità americana (lingua inglese, cultura tradizionalista) e a favorire il trionfo delle identità subnazionali. Negli anni Ottanta, durante le due presidenze di Reagan, gli Usa hanno assistito ad un revival religioso e tradizionalista, ben presto soffocato dal prevalere del multiculturalismo e dell’indifferentismo.

Che, però, è più una fiction che un reality. Tutta la casta degli «intelligenti» ha appoggiato la Clinton e attaccato violentemente Trump, ha diramato sondaggi elettorali addomesticati. Ma tra questa casta di mandarini e la gente c’è un abisso. Gli elettori non li hanno creduti e hanno votato nel senso di un recupero della tradizione americana (Make America great again). Al linguaggio moderato ma ingannatore, al politically correct della donna hanno preferito quello sfrontato ma schietto dell’uomo. Gli elettori di Trump non hanno solo espresso il malessere di alcune classi sociali penalizzate dalla globalizzazione, ma anche il rifiuto del nichilismo amorale e narcisistico della intellighenzia.

Tocqueville aveva osservato che gli Stati Uniti «sono nati uguali, non hanno dovuto diventarlo». Questa unità era retta dal primato della lingua inglese, della religione protestante e della civil religion (in una parola l’«american creed»). Proprio le tre cose che le teste d’uovo hanno cercato di tacitare, tanto che gli Usa appaiono oggi come un insieme multicolore di etnie e tradizioni diverse, largamente privo di identità nazionale. Una crisi oggi evidente per almeno tre ragioni.

Anzitutto gli Usa hanno gradualmente perduto il loro ruolo imperiale (come ha mostrato Niall Ferguson in Colossus. Ascesa e declino dell’impero americano, Mondadori, 2006). Non hanno più l’egemonia e non sono più il gendarme del mondo. Rimangono una potenza globale, ma indebolita da errori grossolani di geopolitica in Iran, Afghanistan, Siria e Libia, dove hanno condotto guerre costosissime e prive di utili risultati. Oggi appaiono tentati da un isolazionismo che li indebolirà ancora di più. La nazione che ha avuto il merito di sconfiggere Hitler e Stalin non è più «sopra» le altre, ma «insieme» a tante altre.

In secondo luogo la morale sociale è stata largamente dissolta e sono emerse condotte contrarie, non solo alla religione, ma anche alla morale naturale. Questo scivolamento verso l’individualismo amorale, tipico di tutti i paesi industrialmente evoluti, appare fortemente presente anche negli Usa, come ci mostra la crescita, testimoniata anche dalle statistiche, di condotte distruttive delle persone e delle famiglie: criminalità, tossicodipendenza, crisi della famiglia, ragazze madri, alle quali si risponde legalizzando gli stessi mali sociali che non si riesce ad arginare (spinello ricreativo libero, nozze gay, aborto senza limiti).

In terzo luogo la degradazione della politica mostrata ad abundantiam dalla campagna elettorale più avvelenata della storia. Tutti i poteri forti già avevano tentato di far fuori nel 1980 un altro Donald, presentando Reagan come un attore mediocre e incapace di fare politica. Ora si sono scatenati contro Trump, chiamato dispregiativamente «tycoon» e presentato come un violento e rozzo selvaggio. Lui ha risposto sullo stesso piano. Il dibattito fra i due candidati solo raramente ha offerto delle indicazioni programmatiche e si è troppo spesso riferito ad argomenti squallidi e volgari con lo scopo di degradare l’avversario: «Lo sapete cosa faceva Ronald alle donne? e come Hillary usava le mail?». Tanto che l’elettorato, più che scegliere tra due proposte più o meno valide, ha cercato di capire da chi avrebbe patito il male minore.

Se ha premiato Trump è perché ha capito che Hillary era la continuità con una linea politica, quella di Obama, disgregativa dei valori autentici della convivenza americana. È stato un voto di protesta contro il sinistrismo di maniera, che ha espresso una nostalgia per i valori di sempre della cultura americana: rispetto della persona, eguaglianza di partenza, lavoro e merito, libertà guidata dal dovere. Dio, Patria e Famiglia negli Stati Uniti non sono ancora parole proibite. Aveva ragione John Adams, secondo presidente degli Stati Uniti: «La nostra Costituzione è fatta soltanto per un popolo morale e religioso».

(Articolo pubblicato su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)



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