Ci fosse ancora Ernesto Nathan ci penserebbe lui a rottamare Atac e Ama, ricostruendole da zero. Peccato che lo storico sindaco di Roma che con il suo rivoluzionario piano regolatore del 1909 costruì l’ossatura dell’attuale pianta urbana di Roma non ci sia più da 94 anni. Ciò non significa che le soluzioni radicali per raddrizzare situazioni particolarmente difficili, come quella delle due municipalizzate romane, siano da tenere nel cassetto. Anzi. Ne sono convinti molti degli esperti convenuti questa mattina alla Fondazione Einaudi di Roma, dove il think tank La Marianna ha promosso il seminario Un piano Nathan per Roma, per discutere su come salvare i romani dall’inefficienza dei servizi trasporto e rifiuti e lanciare un messaggio forte e chiaro al sindaco Virginia Raggi. L’idea di partenza è semplice ma forte: dichiarare fallite Atac e Ama portandone in tribunale i libri e mettere a gara l’intera infrastruttura. Prima però, un po’ di numeri.
CRONACA (IN CIFRE) DI UN DISASTRO
Dati del bilancio 2015 alla mano la situazione del trasporto romano è drammatica. A cominciare dall’età media dei mezzi, 12 anni, passando per le 650 mila corse soppresse nel 2015, per arrivare a un dato che non ammette repliche: lo scorso anno il 53,2% delle corse di superficie è stata soppressa per guasti alle vetture. In pratica, un autobus su due è uscito dalla rimessa per poi rientrare subito dopo. Il tutto a fronte di una perdita di 79 milioni (Atm, l’azienda milanese è in utile per 24 milioni) e debiti per 1,3 miliardi (711 quelli di Atm). Atac non riesce nemmeno a incassare somme soddisfacenti dalla pubblicità: solo 8 milioni nel 2015, contro i 18 di Atm.
MODELLO LONDRA (O STOCCOLOMA?)
Forse, per una volta, Roma potrebbe imparare da Londra. O da Stoccolma. Nel Regno Unito della Brexit il problema della qualità del servizio è stato risolto da tempo attraverso intere porzioni di rete messe a gara ogni anno. In questo modo non solo si aumenta la concorrenza, ma ciascun operatore subisce una sorta di pressione visto che ha solo un anno di tempo per offrire il miglior servizio e riaggiudicarsi la gara successiva. In Italia invece, quando non c’è monopolio (e a Roma c’è), i contratti durano anni così che l’operatore di turno se la prende comoda e alla fine si “siede”. Non solo. Sempre in Gran Bretagna, la concessione della tratta può essere revocata seduta stante, senza lungaggini burocratiche, qualora il servizio non sia giudicato adeguato dall’autorità vigilante. Senza considerare che in Uk un chilometro di rete costa 0,8 euro a cittadino, a Roma ne servono 2,4. Il modello inglese rimane una chimera per Roma (che metterà a gara il tpl solo nel 2019). Più a portata di mano, forse, quello svedese. In Scandinavia per esempio, il controllo del trasporto è più frazionato, con la presenza di più strutture addette alla vigilanza sul servizio e sulle tariffe applicate. La messa a gara della rete è inoltre più ridotta rispetto al Regno Unito, con piccoli pacchetti di tratte che vengono concessi a privati.
LE FERROVIE? UN PERICOLO
Mancano ancora un paio di anni alla liberalizzazione del trasporto locale romano, sempre che l’apertura della rete non si risolva in un bluff, cioè dello Stato che subentra allo Stato. E’ quello che paventa Francesco Filippi, docente presso la facoltà di Ingegneria ed esperto di trasporti, intervenuto al convegno. Filippi si è detto molto preoccupato dall’interesse di Ferrovie per il tpl a Roma: “Le Fs rappresentano un pericolo, perché farebbero un sol boccone del trasporto romano, così come fatto a Firenze. Con il risultato che di concorrenza non se ne parlerebbe, perché è il pubblico che entra nel pubblico”. Comunque vadano le cose per Giovanni Negri, promotore de La Marianna, non c’è tempo da perdere: “La gente è esasperata, la rabbia si respira a tutte le fermate. Bisogna assolutamente normalizzare la situazione con scelte forti, o la protesta dilagherà”.
I RIFIUTI DI ROMA (CHE I ROMANI NON VOGLIONO)
L’altra questione tutta romana si chiama rifiuti. Perché c’è un problema di fondo che impedisce alla Capitale di avere un ciclo compiuto di smaltimento. Roma è infatti l’unica Capitale europea insieme ad Atene a non smaltire i suoi rifiuti autonomamente, costringendo così Ama a inviare ogni giorno decine di camion e treni all’estero. Perché? Semplice, Roma non ha l’inceneritore ma solo Tmb, impianti che trasformano i rifiuti in altri rifiuti che poi vengono mandati in giro per l’Italia e all’estero, presso tutte quelle regioni o Paesi che l’inceneritore invece ce l’hanno. La motivazione ufficiale è che l’inceneritore scoraggerebbe la differenziata, ma forse la verità è un’altra e cioè che l’inceneritore fa paura. Eppure in Belgio il 44% dei rifiuti viene incenerito, in Germania il 35%, in Svezia addirittura il 50%. Il risultato è che la spazzatura di Roma arriva ogni giorno presso una sessantina di siti dislocati in dieci regioni e in tre Paesi esteri: Portogallo, Romania e Bulgaria. Tra poco anche la Germania. Chissà cosa farebbe Nathan.