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L’Arabia Saudita stoppa gli aiuti petroliferi all’Egitto. Messaggio a Trump?

L’Arabia Saudita ha sospeso a tempo indeterminato gli aiuti petroliferi verso l’Egitto. La decisione è stata ufficializzata lunedì 7 novembre, quando tutto il mondo guardava Washington in attesa del nome del vincitore alle presidenziali, ed è passata un po’ sotto traccia, ma potrebbe essere un nuovo scombussolamento nei rapporti diplomatici in una regione turbolenta. Il più ricco paese arabo apre “una profonda spaccatura” tagliando quelli che erano ormai gli ultimi ponti che lo legavano al più popoloso, scrive la Reuters. L’accordo, da 23 miliardi di dollari, era stato chiuso ad aprile durante una visita del re Salman e prevedeva il passaggio di 700mila tonnellate al mese di prodotti petroliferi raffinati per una durata di cinque anni: durante quei cinque giorni al Cairo del sovrano si era deliberato anche il passaggio all’Arabia Saudita di due isole strategiche nel Mar Rosso, Tiran e Sanafir, decisione che aveva sollevato l’indignazione popolare e che al momento è bloccata in un pantano burocatrico-legale in una corte di giustizia egiziana.

LO STOP

Già i primi di ottobre i carichi erano stati fermati, ma l’esecutivo del Cairo aveva mostrato ottimismi sulla ripresa delle spedizioni in virtù del contratto firmato. I primi di novembre invece la Saudi Aramco, il gigante petrolifero statale saudita, ha inviato una comunicazione alla controparte egiziani Egyptian General Petroleum Corp (EGPC) annunciando che il blocco aveva tempi “indeterminati”. La notizia è stata confermata da Tarek el Molla, ministro egiziano del Petrolio: “Non ci hanno dato una ragione”, ha commentato un funzionario del ministero alla Reuters, “hanno informato solo l’autorità dell’arresto delle spedizioni di prodotti petroliferi fino a nuovo avviso”.

IL BACKGROUND (SPECULAZIONI)

Senza spiegazioni ufficiali sui perché, si possono avanzare ipotesi e ricostruzioni. Riad ha un atteggiamento duro nei confronti dell’Egitto per tre ragioni principali. La prima, il Cairo sta tenendo bassissimo il proprio coinvolgimento nel conflitto in Yemen: gli egiziani hanno un esercito capace, che potrebbe essere un buon sostegno per le operazioni militari dirette dai sauditi, che fanno da capofila per una serie di nazioni arabe sunnite contro i ribelli indipendentisti Houthi; è una guerra complicata, dove i guerriglieri hanno resistito con vigore ai tecnologici armamenti messi sul campo dai paesi del Golfo. Ma è anche una guerra simbolica, e qui si apre il secondo dei motivi di attrito tra Riad e Cairo: in Yemen l’Arabia Saudita non combatte solo per difendere il governo legittimo di Sanaa scacciato dalla rivolta indipendentista partita dalla regioni del Nord, ma lotta per il contenimento delle mire geopolitiche dell’Iran. La Repubblica islamica è un nemico esistenziale saudita, e lo Yemen, dove Teheran dà sostegno indiretto agli Houthi, è uno dei territori in cui si dipana il conflitto proxy tra le due grandi potenze del Medio Oriente. Da qui la terza questione della diatriba egiziano/saudita: il presidente Abdel Fateh al Sisi in un altro dei luoghi in cui Iran e Arabia combattono, la Siria, ha assunto posizioni inclinate verso le volontà di Teheran. L’Egitto sostiene formalmente la necessità di trovare una soluzione diplomatica alla guerra civile, ma nel corso dell’ultimo anno ha dialogato più con Mosca che con Washington e Riad, sostenendo l’impegno russo al fianco del regime di Damasco, di cui l’Iran è il secondo più grande alleato dopo la Russia.

INCONTRARSI A TEHERAN

La somma di queste tre cose – scarso impegno in Yemen, scontro Iran/Arabia e posizione sulla Siria – si materializza nelle informazioni che arrivano a proposito dell’intenzione egiziana di aprire un canale di comunicazione con l’Iran, interrotto dal 1970. È sempre la Reuters a parlarne tramite fonti anonime, che hanno raccontato di una visita sulla quale si sarebbe dovuto mantenere un profilo basso, ma che invece è finita in pasto ai media, con smentite reciproche. Ma i contatti ci sono secondo l’agenzia britannica, che spiega che se l’Egitto dovesse comprare prodotti petroliferi dall’Iran, questo potrebbe segnare “un cambiamento sismico dell’ordine politico regionale”. C’è un altro retroscena: da maggio Egitto e Russia hanno avviato le trattative per definire l’accordo per la costruzione della prima centrale nucleare nel paese (Mosca ci metterà 25 miliardi di dollari di prestito, l’impianto sorgerà a Dabaa, nella fascia costiera centrale). I russi sono alleati pragmatici dell’Iran – pragmatici perché ne condividono più il ruolo geo-economico che le letture ideologizzate – e forse i contatti si incastrano in questa serie di interessi, con Teheran che soffre a vendere il proprio petrolio, nonostante l’abolizione delle sanzioni post Nuke Deal.

Questi movimenti sono un messaggio per Washington: da che parte si metteranno gli Stati Uniti di Donald Trump? Quale dei due alleati storici scontenteranno: toccherà all’Arabia Saudita, in nome del futuro collaborativo con Mosca tanto evocato in queste prime analisi sul futuro internazionale del prossimo presidente repubblicano?

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