L’operazione Brexit entra nel vivo. No, non in Gran Bretagna, o meglio non solo a Londra, ma anche in Francia, dove il governo ha messo insieme una sorta di “team Brexit” di politici e imprenditori per attrarre (o sottrarre) affari allo storico rivale che ha scelto di uscire dall’Unione europea. E questo mentre a Londra oggi l’Alta Corte britannica ha sentenziato: è necessaria l’approvazione del Parlamento perché il Regno Unito inizi il processo di uscita dall’Unione Europea. Che significa? Significa che il governo non potrà attivare l’articolo 50 del Trattato di Lisbona, che sancisce l’avvio dei negoziati per l’uscita, senza avere l’ok di Westminster. Ma se a Londra si dibatte di questioni giuridiche, a Parigi si pensa agli affari.
UOMINI E MIRE
La squadra di top manager e leader politici nominata da Parigi per guidare le sue strategie di attrazione di investimenti e business è guidata da Ross McInnes, un franco-australiano che ha studiato a Oxford ed è presidente della Safran e “rappresentante speciale” per le relazioni economiche Francia-Australia: il suo ruolo sarà quello di “ambasciatore” delle politiche dell’Eliseo per corteggiare aziende finora situate a Londra, come hanno riportato Le Monde e il Financial Times.
LA SUPER-SQUADRA DI PARIGI
Un ruolo chiave nel team (o dovremmo dire équipe) sarà svolto anche da Valérie Pécresse, la politica del centro-destra (Les Républicains) che è presidente della Regione Île-de-France, e da Anne Hidalgo, sindaco di Parigi del Parti socialiste.
Del gruppo fanno parte anche Christian Noyer, ex governatore della banca centrale francese, e Gerald Mestrallet, presidente della utility Engie e di Paris Europlace, una lobby che promuove Parigi come centro finanziario.
GLI OBIETTIVI
La squadra francese del Brexit dovrà come prima cosa cercare di attrarre le società finanziarie che, con tutta probabilità, saranno le prime a soffrire della decisione del Regno Unito di lasciare l’Ue se perderanno i loro diritti di “passporting”, che consentono di operare in tutta l’Unione. Alcune banche, tra cui HSBC, hanno già indicato che potrebbero spostare gli uffici a Parigi.
Il team si rivolgerà anche alle aziende di altri settori: industria, estrazione mineraria, energia, servizi e qualunque impresa che abbia scelto il Regno Unito come sede europea per la sua appartenza all’Ue.
LA STRATEGIA FRANCESE
La creazione del team per portare affari e lavoro in Francia dopo la Brexit è solo l’ultimo passo di una strategia che Parigi sta perseguendo fin dall’indomani del referendum britannico. Il Regno Unito è sede di moltissime imprese che garantiscono significativi volumi in termini di giro d’affari e occupazione e qualunque segnale che queste aziende possano o debbano trasferirsi viene raccolto e amplificato dai big dell’Unione.
Visto l’esito del voto del 23 giugno, il governo del presidente François Hollande si è affrettato a modificare le norme fiscali per chi dall’estero stabilisce imprese e porta lavoro in Francia, rendendole molto più generose: gli imprenditori stranieri possono ottenere fino al 50% di agevolazione sull’imposta sul reddito e il diritto a escludere asset esteri dal totale dei loro beni per otto anni. “Vogliamo costruire la nuova capitale finanziaria, è l’ora di venire in Francia”, ha dichiarato a luglio il primo ministro francese Manuel Valls.
A settembre, i regolatori dell’ACPR e AMF hanno avviato la semplificazione delle procedure per registrare nuove società finanziarie a Parigi, permettendo tra l’altro di presentare la documentazione necessaria in inglese. I regolatori hanno detto che tali modifiche vengono introdotte “nel contesto della Brexit”. Giocando sulla proverbiale reticenza dei francesi a usare una lingua diversa dalla loro, soprattutto l’inglese, il FT titolava: “La Francia diventa anglofona per attrarre le aziende britanniche”.
STANCHI DELLA NEBBIA? PROVATE LE RANE
A metà ottobre l’offensiva francese si è fatta più seria. Il distretto parigino degli affari, La Défense, ha lanciato una campagna pubblicitaria che diceva “Tired of the fog? Try the frogs!”, un gioco di parole tra la nebbia londinese e il cliché di mangiatori di rane affibbiato dai britannici ai francesi.
Ovviamente non è tutto oro quel che luce, perché qualche banchiere fa notare che la Francia ha anche di recente aumentato le tasse sulle transazioni finanziarie; i francesi però nel loro corteggiamento sono pronti a chiedere alle banche qual è la loro lista dei desideri in fatto di riforme capaci di convincerle a stabilire la nuova sede a Parigi.
CACCIA AGLI AFFARI POST-BREXIT
La Francia non è l’unico paese dell’Ue che vuole trarre beneficio dalla Brexit (soprattutto da una scissione “punitiva”, la cosiddetta “hard Brexit”). Anche Francoforte e Dublino si sono messe in pole position per attrarre le imprese della finanza, e l’Italia non è da meno, perché le banche estere guardano anche a Milano, come riportato già da formiche.net, e la stessa Milano (dopo il niet della sindaca Raggi per Roma) è interessata all’Agenzia europea del farmaco.
Capitali come Città del Lussemburgo e Amsterdam si stanno dando da fare, mentre la Lituania mirerebbe in modo più specifico alle start up. Secondo Joerg Rocholl, presidente della ESMT Berlin business school, “Dublino, Francorte e Parigi avranno più benefici di tutti dalla Brexit”, ma per Bloomberg in Francia e in Germania le tasse e le norme sul lavoro possono essere un deterrente: da questo punto di vista paesi come l’Irlanda, l’Olanda e il Lussemburgo sono favoriti – a meno che Bruxelles non intervenga considerando i loro privilegi fiscali anticompetitivi. Un outsider potrebbe essere Edimburgo, hub finanziario in fieri della Scozia dove il primo ministro Nicola Sturgeon vagheggia l’indipendenza.