Gianroberto Casaleggio è stato un uomo che aveva compreso molte cose, e occorre riconoscerlo con onestà intellettuale, nel consenso o nel dissenso. Aveva intuito la possibilità di innescare cose importanti nella politica attraverso Internet, la rete, i social network: con numeri e dimensioni ritenuti inimmaginabili senza il supporto dei media tradizionali.
E soprattutto aveva capito – in Italia – prima e meglio di altri lo spazio del “vaffanculo”, cioè la rabbia dei ceti medi e medio bassi verso la politica tradizionale, e la possibilità di incanalarla verso un’offerta politica radicalmente alternativa. Forse, non aveva compreso una terza cosa, o forse non era nelle sue corde, o forse non ha fatto in tempo a lavorarci. Non mi permetto di giudicare, ho rispetto dei vivi e a maggior ragione di chi come lui non c’è più. Mi riferisco all’ingrediente della competenza per fare politica.
Una volta esaurito il catalogo dei “vaffa”, una volta levato il grido catartico “onestà-onestà-onestà”, una volta preso il potere (vedi il caso del Comune di Roma…), resterebbe infatti il “piccolo problema” di governare, dare risposte, conoscere i dossier. Non è immaginabile (e neppure accettabile) che la politica possa essere l’unico settore dello scibile umano in cui conoscenza, esperienza e merito siano un disvalore, una “liability”, un marchio di infamia.
La grande Janet Daley lo dice da mesi sul Telegraph, da nemica dell’establishment, ma pure da estranea alla logica degli urlatori-improvvisatori. Per quanti errori possano commettere piloti d’aereo e neurochirurghi, difficilmente, salendo su un aereo o entrando in una sala operatoria, ci sentiremmo sicuri nell’apprendere che al comando delle operazioni c’è un dilettante. Possibile che per le decisioni pubbliche si sia innescato un riflesso mentale opposto?