In linea di massima, Donald Trump pensa che gli alleati tradizionali dell’America, nella NATO o meno, siano dei free rider, dei decisori totalmente autonomi che accettano il sostegno militare di Washington ma poi fanno di testa propria, almeno in politica estera. Trump non vuole più pagare miliardi di dollari per proteggere nazioni amiche degli USA che, però, non spendono il dovuto per la loro difesa.
Non ha tutti i torti, ancora oggi gli Stati Uniti coprono il 73% del costo totale NATO anche se, occorre dirlo, manipolano e utilizzano per i loro scopi gran parte del potenziale di difesa degli Alleati. Spesso Trump ha affermato in campagna elettorale che le 28 nazioni della Alleanza Atlantica non pagano la loro “giusta quota”, e l’Alleanza per il nuovo Presidente è “obsoleta”, perché non si è focalizzata sul terrorismo dei paesi canaglia. Riteniamo questa posizione di Trump tecnicamente errata, poiché l’Alleanza ha spesso favorito, con operazioni irrazionali, proprio il regime change mediorientale e l’attuale accerchiamento della Russia, che peraltro “The Donald” ha promesso di ridimensionare dal suo confine europeo.
Tutti interessi degli USA quindi, ma non certo dell’Unione Europea. La linea di Trump è quella, sempre sull’Europa, di verificare uno per uno il sostegno e la possibilità di accordo, anche militare, per ogni Paese dell’Alleanza.
L’Italia, quindi, sarò ridotta ad un ruolo ancora meno rilevante di quello attuale, poiché si tratterà di pagare una buona parte delle spese per l’impegno militare nell’Alleanza. Si tratta insomma di un comportamento di tutto il Vecchio Continente ormai oggettivamente superato, quello di sostenersi integralmente sull’America, ma ancora non nella mente dei decisori EU.
In effetti, “il mutuo” contratto con gli americani nato con la Seconda Guerra Mondiale è cessato da tempo. In fondo, il presidente valuta indirettamente l’Unione Europea secondo quello che ha detto, sostenendola, sulla “Brexit”: i confini sono naturali e necessari. People want to see borders, la gente vuole vedere i confini, ci sembra qui di ricordare Carl Schmitt con la sua teoria che sono appunto gli stati liberali moderni ad avere uno scarso senso del “politico” poiché hanno confini troppo fluidi.
Vedo dura la prossima trattativa tra una Europa in crisi e gli USA di Trump, che non ha nessun interesse nel gestire i rapporti con il mandarinato di Bruxelles. E Trump poi non ragiona più nei termini de suoi predecessori, che pensavano alla UE come alleato naturale degli americani e addirittura una imitazione del suo modello federale.
Egli inoltre non accetta del tutto, sempre in contrasto con la “vecchia Europa” il JCPOA, il trattato nucleare con l’Iran. Non ci crede, e lo ritiene il frutto di negoziatori privi della percezione dei loro interessi, che si sono fatti prendere la mano dal mito kantiano della pace perpetua. Trump lo ritiene il “peggior accordo che abbia mai visto” e quindi il peggior pericolo per la sicurezza degli USA nel contesto mediorientale, e non solo. La motivazione che possiamo intuire è che la repubblica sciita può diventare il sistema dominante il tutto il Medio Oriente, proprio con questo accordo sul nucleare che, in effetti, e qui ha ragione Trump, non pone nessun freno reale ai fini strategici di Teheran. Secondo il nuovo Presidente, gli Usa imporranno ancora delle sanzioni all’Iran.
Gli Stati Uniti di Donald Trump non abbandoneranno mai il Medio Oriente, che è l’asse della loro espansione nel sistema petrolifero e nella periferia del quadrante russo. Ed infatti Trump pensa ad una mediazione seria, quasi di tipo “immobiliare”, come ha ironizzato in una recente intervista, tra Israele e i Palestinesi. Ma si tratterà, qui come in altri casi, di utilizzare, secondo le espressioni del nuovo Presidente, “negoziatori duri invece di ingenui accademici” anche se, finora, i negoziatori americani sono stati quasi sempre dei politici e non dei professori. Ma anche i diplomatici professionisti sono, per Trump, troppo attenti alle nuances che alla sostanza delle trattative.
E’ la persuasione, non il potere, sostiene Trump, a caratterizzare la diplomazia al suo meglio. E, ancora, il nuovo presidente sostiene di dover migliorare i rapporti con Israele, che Barack Obama aveva portato al minimo storico.
Israele è l’amico indispensabile che securizza tutto il Medio Oriente. Non a caso Trump ha sostenuto, in campagna elettorale, il trasferimento dell’ambasciata USA da Tel Aviv a Gerusalemme, per sostenere pubblicamente e ufficialmente la politica israeliana con i Territori. Trump vuole ricostruire i buoni rapporti con lo stato ebraico perché lo ritiene ancora il nesso fondamentale e irrinunciabile di Washington nel Medio Oriente. Sono già lontani i giorni in cui l’Arabia Saudita finanziava il 20% della campagna presidenziale di Hillary Clinton, i vecchi sostegni di Riyadh a McCain o ai due Bush, i fondi del Qatar a Bill Clinton e alla sua Foundation, che sapevano bene, i coniugi presidenziali, come i sauditi e il Qatar finanziassero riccamente il califfato dell’Isis.
Per non parlare dell’ameno sostegno di Obama al mondo islamico “radicale”, che sarebbe stato addirittura ampliato dalla Clinton se avesse vinto, ai jihadisti nella lotta a Bashar el Assad, il “tiranno” di turno. Con il rischio, peraltro già avvenuto, di fare addestrare alla CIA e al Dipartimento di Stato una brigata di jihadisti sedicenti “moderati” contro la Siria di Assad i quali, appena armati e pagati dagli americani, se ne andarono a fare la loro guerra nel califfato di Al Baghdadi. Il ruolo ambiguo degli USA in Siria ora non sarò più tale: Trump vuole che la Russia batta da sola l’Isis in Siria, e che la sola Germania si conservi l’Ucraina.
Trump non vuole ripetere gli errori della universale “lotta ai tiranni” e della esportazione della democrazia in ogni dove, egli vuole puntualizzare gli interessi reali degli USA e stabilire buoni accordi in tutte le altre aree. La NATO non è affatto contro la Russia, come egli ha affermato più volte in campagna elettorale. Nel Medio Oriente, lo ha ripetuto spesso Trump, meglio uomini forti che il caos, meglio forse addirittura Assad con il sostegno russo che il disastro sistematico degli infiniti gruppi jihadisti più o meno “moderati” che, distruggendo quel Paese, creeranno un vuoto pericolosissimo per tutto il Medio Oriente. Solo uno sciocco avrebbe voluto il caos al posto di Bashar, e quello sciocco lo abbiamo già avuto, e sarebbe stato replicato, in peggio, da Hillary Clinton.
Per quanto riguarda la Cina, Trump sostiene che, da un lato, dovrebbe essere Pechino a dirimere la questione della Corea del Nord; e qui il Presidente vede due possibilità: una trattativa USA-Pyongyang e una pressione dura su Pechino per far cessare la corsa al nucleare militare dei coreani del Nord. Pechino teme la svolta protezionista che osserva in tralice nella politica economica di Trump. D’altro canto, la Cina è contenta che alla Presidenza USA vi sia un businessman che non rompe le scatole con i “diritti umani”. Ma teme la valutazione trumpiana sulla libertà dei mari in Asia, mentre Xi Jinping ha subito proposto al nuovo presidente USA una completa collaborazione bilaterale su tutti i temi.
Sarà rafforzata la tradizionale alleanza americana con il Giappone, e perfino le Filippine di Duterte avranno un modo di collaborazione con i nuovi Stati Uniti.
Il peggio, con ogni probabilità, accadrà con la vecchia e ormai impotente UE.