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Vi racconto cosa succede fra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi

Prima o poi doveva accadere. Il momento è finalmente arrivato, a dimostrazione che tutto è possibile in questo Paese dell’ormai eterno sottosopra. E’ accaduto, in particolare, che abbia potuto riconoscermi in un titolo del Fatto Quotidiano fondato dal mio amico Antonio Padellaro e diretto da Marco Travaglio dopo avere visto e sentito la stessa cosa: il ritorno di Silvio Berlusconi nel salotto televisivo di Bruno Vespa, a Porta a Porta, in vista del finalmente vicino voto referendario del 4 dicembre sulla riforma costituzionale. Che è notoriamente contestata dall’ex presidente del Consiglio e da altri con i quali egli, ad occhio e croce, non prenderebbe neppure un caffè, come Beppe Grillo.

“Mediaset vota sì perché è ricattata da Renzi”, ha titolato il giornale capofila del fronte referendario del No senza forzare, una volta tanto, il ragionamento o le confessioni di Berlusconi. Il quale ha motivato con la paura delle “ritorsioni” di Renzi sulle aziende del Biscione, e di altre nelle stesse condizioni, il Sì alla riforma annunciato da Fedele Confalonieri, suo fraterno amico e presidente di fiducia di Mediaset.

Berlusconi ha raccontato di averne “discusso” e di aver “dovuto accettare”, per amore delle sue aziende, dei risparmiatori e degli investitori, compresi quelli che vi fanno pubblicità, ciò che non credo si possa esagerare definendolo il più evidente conflitto d’interessi. Almeno così si diceva una volta, come l’ex presidente del Consiglio sa benissimo per averne fatte le spese nelle polemiche seguite alla sua decisione di fare politica, tanti anni fa. Un conflitto che lo obbliga adesso a sdoppiarsi fra lui che vota No, almeno a parole, alla riforma costituzionale e un’altra parte di sé, l’amico Confalonieri, che vota Sì per non immotivata paura con il suo per niente imbarazzato consenso.

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Questa distribuzione delle parti, che di positivo ha solo la trasparenza, potrebbe finire -come finì in occasione del famoso Patto del Nazareno, prima che saltasse come un petardo sullo scoglio dell’elezione di Sergio Mattarella al Quirinale- solo se dopo il referendum, specie nel caso in cui dovesse vincere il No, e anche a costo di spaccare ancora di più quel che resta del centrodestra, Berlusconi riuscisse a concordare con un Renzi obiettivamente indebolito il percorso rimanente della legislatura. Un percorso che, consistendo soprattutto nell’approvazione di una nuova legge elettorale, applicabile a quel punto ad entrambe le Camere, dovrebbe essere il più “breve” possibile.

Sull’aggettivo “breve” Berlusconi ha insistito domenica scorsa, 20 novembre, in una intervista ai quotidiani unificati del gruppo Riffeser Monti – Il Giorno, La Nazione e il Resto del Carlino – precisando di contare per questo sulla ragionevolezza non tanto di Renzi quanto del presidente della Repubblica. Di cui nel salotto di Porta a Porta egli è tornato a dolersi del modo in cui fu eletto, scelto dal “solo” presidente del Consiglio, ma non del modo in cui sta svolgendo il suo mandato al Quirinale.

Certo, Berlusconi potrebbe cambiare idea a questo proposito, come gli è già accaduto altre volte, per esempio col predecessore di Mattarella, il povero Giorgio Napolitano, ma per adesso il giudizio sul capo dello Stato è positivo. Talmente positivo che lo stesso Berlusconi gli ha di recente annunciato personalmente, pur fra le proteste in piazza di Matteo Salvini, a Firenze, la disponibilità a dimostrargli in caso di crisi o di altre turbolenze politiche “senso dello Stato e di responsabilità”.

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Un altro passaggio significativo dell’intervista di Berlusconi del 20 novembre, non seguita da alcuna precisazione o smentita, riguardava la sua forma fisica e morale dopo la rottura politica con Stefano Parisi, detronizzato da “federatore” del centrodestra perché troppo polemico con Salvini e i colonnelli di Forza Italia. Ecco, testualmente, quel passaggio: “Io mi sento abbastanza in forma, e quindi gli eredi possono aspettare”.

Forse dimentico di queste parole, nonostante i tre giorni soltanto trascorsi dall’intervista, Berlusconi ha parlato in televisione, da Bruno Vespa, che pure da direttore editoriale di quei giornali poteva un po’ rinfrescargli la memoria, della sua “ricerca costante e disperata di un successore”.

Visti i precedenti del povero Parisi, il più celebre dei quali rimane naturalmente quello di Angelino Alfano, il delfino privo di “quid”, tanto da passare poi “dall’altra parte”, quando si ruppe il rapporto fiduciario di Berlusconi col governo delle cosiddette larghe intese di Enrico Letta, l’ex presidente del Consiglio può ben essere considerato il Bertoldo della nostra epoca politica.

Bertoldo, si sa, aveva reclamato e ottenuto il diritto di scegliere l’albero al quale lasciarsi impiccare. E naturalmente non ne trovava mai uno abbastanza adatto.

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Un altro che penso candidabile al ruolo di Bertoldo è Matteo Renzi, cui però attribuisco le attenuanti riconosciutegli da Berlusconi nel salotto televisivo, sia pure in una forma riduttiva rispetto al “solo leader in campo” certificatogli di recente.

Le attenuanti di Renzi ammesse dall’ex presidente del Consiglio è di avere quasi “metà dei suoi anni”, una conseguente forza fisica maggiore e una grandissima capacità di “affabulatore”. Che secondo il dizionario della lingua italiana di Giacomo Devoto e Gian Carlo Oli significa “abile, consumato presentatore e persuasore”. Vi ricorda, questa definizione, qualcun altro prima di Renzi? Forse un signore di quasi il doppio degli anni.

E’ meglio comunque per Renzi sentirsi dare dell’”affabulatore” che della “scrofa ferita”, come ha fatto il solito Beppe Grillo in un empito di volgarità che è ormai la sua cifra politica, nella illusione di divertire il pubblico, non potendogli ormai dare altro di più consistente.


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