La Fondazione itinerari previdenziali, autorevolmente presieduta dal prof. Alberto Brambilla, ha compiuto una valutazione dei costi dell’Ape (Anticipo pensione) a carico del futuro pensionato che compie la scelta di avvalersene. Prima però di passare a tale valutazione la Fondazione, in un recente documento, ha inteso puntualizzare che anche l’Ape Social determinerà a carico del bilancio dello Stato oneri importanti.
Per sostenere il ritiro dal mercato di disoccupati di lunga durata e altre categorie di lavoratori svantaggiati (Ape social) il Governo stima – come ricorda Itinerari previdenziali – un costo di 500-600 milioni l’anno per i prossimi venti anni a carico dello Stato; per accedere a quella volontaria, invece, per la quale il governo si pone l’obiettivo di coinvolgere almeno 100 mila lavoratori per il primo anno di sperimentazione, i beneficiari dovranno affrontare penalizzazioni all’assegno pensionistico che, secondo il documento, variano dal 6 per cento in caso di ritiro anticipato dal lavoro di 12 mesi, fino a oltre un quinto dell’importo nel caso di uscita anticipata di 43 mesi.
Anche in questo caso le considerazioni variano in base al punto di osservazione: da un lato, l’Ape riconosce una nuova possibilità a disposizione di quei lavoratori in uscita dal mercato del lavoro e sottoposti agli effetti della legge Fornero, ma dall’altro lato, non si possono non valutare attentamente il costo dell’intervento per il bilancio dello Stato (Ape social) o le difficoltà cui rischia di andare incontro il pensionato chiamato a restituire il prestito pensionistico.
Considerando per comodità di calcolo un anticipo netto mensile per dodici mesi di 1.000 euro di Ape volontaria e una pensione netta di pari importo, il valore dell’anticipo ammonterebbe a 12mila euro in ragione di un anno, a 24mila euro per 24 mesi, a 36mila euro per tre anni e a 43mila euro per 43 mesi (pari a 3 anni e 7 mesi). Aggiungendo al valore annuo del rimborso (rispettivamente 600, 1.200, 1.800 e 2.150 euro) il costo degli interessi (ipotizzati all’1,50 per cento) e di un ventennio di assicurazione, le ritenute sulla rata mensile di pensione ammonterebbero a 60,76 euro per 12 mesi di anticipo, a 121,52 euro per 24 mesi, a 182,30 euro per 36 mesi e a 217,10 euro per 43 mesi. Così la pensione netta mensile – per la durata del prestito – si ridurrebbe a 939,24 euro (nel caso di 12 mesi di anticipo) e rispettivamente a 878,48 euro, a 817,70 euro e a 782,90 euro negli altri casi evidenziati (24, 36, 43 mesi di anticipo). La decurtazione annuale sarebbe nel primo caso di 789,88 euro (6,08 per cento), nel secondo caso di 1.579,76 euro (12,16 per cento), nella terza ipotesi di 2.369,90 euro (18,24%) e a fronte di 43 mesi di 2.822,30 euro (21,78 per cento).
Per quanto riguarda l’Ape social i costi sono importanti anche se nettamente inferiori alle proposte avanzate da Cesare Damiano e da Tito Boeri. La misura acquista sempre più una caratteristica assistenziale, erogata direttamente dall’Inps, differente dal prestito bancario-assicurativo consistente nell’Ape volontaria. Nel confronto tra Governo e sindacati questa prestazione si è caricata di insidie. Il Governo ha cercato di contenere i rischi di “sfondamento” dei requisiti anagrafici, ma l’introduzione di nuovi elementi da assumere come parametri di ammissibilità per l’accesso all’Ape social (la precocità dell’accesso al lavoro, l’assegnazione non solo a mansioni usuranti ma anche gravose, un concetto difficilmente delimitabile, il lavoro di cura) diventeranno una sorta di Linea Maginot facilmente aggirabile, in Parlamento e successivamente dalle corporazioni organizzate. Del resto, immaginiamo già gli argomenti. Un’insegnate di scuola d’infanzia dovrà certamente mettere a dura prova la spina dorsale a sollevare i bambini che le sono affidati; ma un docente di scuola secondaria farà ben presto valere il logoramento del sistema nervoso provocato da scolaresche di adolescenti indisciplinati e spalleggiati da genitori ex sessantottini. Lo stesso ragionamento si può fare – e sarà più volte fatto – per gli infermieri. Perché solo quelli che prestano servizio in sala operatoria e non in altri reparti come la geriatria, ad esempio? E i chirurghi che usano il bisturi per ore proprio in quella sala operatoria dove gli infermieri e le infermiere, che li assistono, si procurano la patente di lavoro gravoso? Esiste poi un’infermiera che svolge tutta la sua attività professionale dal primo all’ultimo giorno in sala operatoria? E i facchini? Un conto è scaricare dei pesi, un altro usare delle macchine di trasporto. Come la mettiamo, poi con il rischio infortuni (come metro di misura del lavoro gravoso), quando la metà di questi eventi si verificano in itinere? Si include anche il rischio-traffico? E quindi l’età pensionabile nelle zone di maggior traffico urbano e interurbano si riduce perché è più elevato il rischio di incidente automobilistico?
Il dubbio di muoversi su di un terreno insidioso – con ragionamenti che farebbero la loro figura in un Convegno sull’ergonomia piuttosto che nella definizione di un sistema previdenziale pubblico – diventa ancora più inquietante a leggere quanto sta scritto tra gli impegni della Fase 2, quella che dovrebbe aprirsi dopo l’approvazione della legge di bilancio. Leggiamo insieme: “Nell’ambito del necessario rapporto tra demografia e previdenza e mantenendo l’adeguamento alla speranza di vita, valutare la possibilità di differenziare o superare le attuali forme di adeguamento per alcune categorie di lavoratrici e lavoratori in modo da tenere conto delle diversità nelle speranze di vita”. Un altro bel rompicapo: intendiamo arrivare all’età pensionabile ad personam? Del resto vi sono ricerche le quali sostengono che i laureati vantano una maggiore longevità di coloro che hanno soltanto completato la scuola d’obbligo. Chissà? Volendo si potrebbe approfondire quanto vive più a lungo un diplomato del liceo classico rispetto ad uno dello scientifico. Ma in fondo, “Il mondo è bello e santo è l’avvenir”. Perché rinunciare in partenza a vivere in un mondo perfetto, con un sistema pensionistico che rende giustizia di tutti i torti subiti durante la vita attiva? E’ questa la nuova filosofia che sta emergendo in questo sventurato Paese.