Come definire la politica estera post-Brexit del Primo ministro May? La domanda non è affatto semplice e mostra una serie di segnali nuovi e imprevisti.
Intanto, il progetto primario di Theresa May è quello di incrementare il proprio ruolo internazionale fuori dalle tradizionali alleanze, per compensare la perdita, poco rilevante militarmente ma altamente simbolica, della presenza di Londra nell’Unione Europea.
Lo scorso settembre il governo Tory della May ha ospitato a Londra l’emiro del Qatar, lo sceicco Al-Thani, per aprire con l’Emirato un nuovo rapporto sia politico che finanziario,grazie alla vendita di varie e nuovissime tecnologie per la Difesa. Fra l’altro, verrà creata la figura di un nuovo attaché britannico in Qatar, per sostenere il forte impegno, anche addestrativo, di Londra in Qatar.
A metà ottobre la May ha inoltre ospitato a Londra anche il Re del Bahrain, Ahmad bin Isa al Khalifa con il quale ha sottolineato, nel suo discorso di benvenuto, “il forte appoggio agli sforzi di mettere in sicurezza il Golfo”. E anche l’Oman, tradizionalmente amico della Gran Bretagna, oltre agli altri Emirati Arabi Uniti, riceveranno tra poco il sostegno di Londra, che costruirà nuove basi militari nell’area.
Ritorna la Gran Bretagna di Geltrude Bell e di Christine Granville. Ancora una donna, la May, ricostruisce la rete di comunicazione e strategica con il Medio Oriente.
Per non parlare poi dell’Egitto di Al-Sisi, già nella lista nera degli amanti della “democrazia universale”, ma che la May vede come un baluardo della nuova politica extra-europea e non-Ue della rinata Gran Bretagna. E’ una linea che si è delineata fin dagli incontri dell’agosto scorso della May con il leader egiziano. La questione della stabilità dell’attuale regime egiziano è di estrema importanza. Se cadesse Al-Sisi, ritornerebbero i Fratelli Musulmani e, quindi, il jihad della spada sia verso il Maghreb che nella direzione del Sinai e, quindi, di Israele.
E’ evidente che Londra vuole porsi come un nuovo asse di sicurezza in Medio Oriente, collegando a sé le aree degli Emirati, che fino ad oggi erano un vuoto strategico per l’Occidente, controllando così le linee di passaggio dal Golfo Persico verso il Mediterraneo e predisponendo una sua autonoma rete per il nuovo “passaggio ad Ovest” della Cina, la sua “Via della Seta”, la Road and Belt Initiative.
I mistici dei diritti umani, molto presenti anche a Londra, polemizzano da sempre con queste scelte della May di comunicare con i “paesi autoritari” del Golfo e del Maghreb.
Già, ma se cade l’Egitto tutto il Canale di Suez passa, lo ripetiamo, in mani non amiche e spesso jihadiste, con risultati inimmaginabili e pericolosissimi per tutto il Mare Nostrum.
A queste cose non pensano ovviamente le anime belle italiane e francesi e nemmeno gli altri bambini dell’Ue, ma sono tuttavia al centro del progetto strategico di Londra e, per esempio, di Mosca e Pechino.
Per non parlare di Israele, naturalmente. Lo scorso ottobre l’ambasciatore britannico a Gerusalemme, David Quarrey, ha dichiarato ufficialmente che “la Brexit apre nuove possibilità affinché la Gran Bretagna e Israele lavorino ancora più strettamente insieme”. Da una parte, come accade anche ad altri governi europei, Londra critica la politica dello stato ebraico riguardo ai territori occupati ma, dall’altro, vende armi, molte armi a Gerusalemme. Da aprile-giugno 2016 fino ad oggi, Londra ha esportato nello stato ebraico 65 milioni di sterline di materiale bellico, un dato da comparare con i soli 9,5 milioni dell’intero 2015. D’altra parte, la Gran Bretagna è il secondo esportatore di armi nel mondo.
Prevedendo inoltre che, come brillantemente programmato da un generale di aviazione italiano, il Gen. Camporini, l’Ue trovi l’occasione di formare, dopo la Brexit, un esercito unico dell’Ue, Theresa May ha impostato un piano di nuovi investimenti militari per 178 miliardi di sterline e per costruire due nuove grandi portaerei, con un progetto di proiezione di potenza che, probabilmente, renderà l’Inghilterra una nuova potenza globale. Come ai tempi di Edward Montagu e Robert Blake.
Le dichiarazioni dei militari britannici ci fanno facilmente intuire che questa nuova presenza di Londra sui mari “come quella dell’Impero e oltre”, come dice la May, sarà applicata all’espansione degli interessi di Londra in Asia, in collegamento con quelli della Cina.
La Brexit è quello che la May vuole che sia: un nuovo progetto autonomo e globale della Gran Bretagna, una politica estera libera dalle pastoie europee in Medio Oriente, un rapporto forte e stabile con la Cina, prima che Pechino si rivolga ai paesi ancora nell’Ue.
Con la Federazione Russa, inoltre, Theresa May vuole rafforzare le non frequenti e fredde relazioni, che durano dall’affare Litvinenko, e ha impostato insieme a Putin un nuovo accordo tra le agenzie di sicurezza di entrambi i Paesi per la sicurezza del volo e per lo scambio di informazioni di primissima mano.
Anche in questo caso, la May è ben oltre la puerile geopolitica dell’Unione europea, che vede la Russia oggi unicamente come una “azione autoritaria”.
Nella telefonata del 9 agosto scorso, iniziata da Londra, Putin e la May hanno ricostruito un buon rapporto, e organizzato una serie di presenze inglesi di alto livello nelle prossime manifestazioni politiche e storiche russe. Non è cosa irrilevante: le navi inglesi che, passando dall’Artico, portarono viveri e altro ad Arkhangelsk è un dato storico, ma anche un simbolo, e la politica estera vive anche di simboli. E Londra, oggi, vuole creare una nuova relazione con Mosca non solo per rafforzare gli scambi bilaterali, ma per utilizzare le forti reti che la Russia già possiede in tutta l’Eurasia.
E’ una nuova internazionalizzazione della potenza britannica quella che la May cerca, dopo la permanenza britannica nel nulla strategico dell’Ue. Bisogna qui ricordare che la Russia ha aumentato del 75 per cento del sue importazioni dalla Gran Bretagna dal 2009 al 2012.
E, appena l’Ue, dopo la Brexit, ha cominciato a pensare a quale fosse la nuova capitale della finanza internazionale, Londra ha riaperto tutti i suoi canali con Mosca e, successivamente con Pechino per aprirsi, cosa che non è possibile all’Eu, ai capitali provenienti dall’Eurasia. E oggi, con le nuove prospettive del nesso tra Mosca e Washington, la politica estera della May risulta efficace e preveggente, mentre l’Ue continua a rimandare la soluzione della equazione strategica tra l’Europa continentale e la Russia. E, peraltro, tutto questo nuovo panorama di scelte per Londra in politica estera riguarda, come ha più volte sottolineato Theresa May, “il nuovo ritorno del free trade”, ovvero la libera circolazione delle merci fuori, anche, dalle pastoie di Bruxelles.
Quindi la May sarà sempre più dura sull’immigrazione, che è il punctum dolens della Brexit, ma utilizzerà questa occasione per ricostruire la strategia globale di Londra: concorrenza all’Ue in politica estera e nella presenza sui nuovi mercati, ricostruzione della forza militare inglese e della sua vecchia power projection nei mari mondiali, tanto l’Ue non farà mai una sua forza militare autonoma.
Poi, appoggio geostrategico alla Cina e alla Federazione Russa, oltre alla reimpostazione della politica britannica in Medio Oriente, con fortissimo supporto a Israele e simultaneo sostegno al mondo arabo che conta e che può modificare davvero gli equilibri. Un progetto strategico che metterà in soffitta le stanche petizioni di principio di Bruxelles, e ricreerà su basi nuove il classico nesso tra Gran Bretagna e Usa, data la nuova politica estera di Trump, che ha già mandato in giro, segretamente, i suoi uomini di intelligence nei Paesi-chiave.
Ritorna, dopo il folle idealismo geopolitico degli ultimi dieci anni, una valutazione adulta degli equilibri mondiali.