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La procedura seguita per la riforma costituzionale è stata corretta?

PER IL SI’

Beniamino Caravita (Istituzioni di diritto pubblico La Sapienza)

“Il procedimento di revisione costituzionale si innesta sul procedimento legislativo ordinario, sicché l’iniziativa legislativa è disciplinata dall’art. 71, che esplicitamente prevede l’iniziativa governativa. Non esiste, quindi, alcun problema costituzionale nel fatto che il testo sia stato presentato dal Presidente del Consiglio e dal Ministro per le Riforme istituzionali (a meno di non voler fare – come disse la sentenza n. 313/2003 della Corte – operazioni di «costruttivismo interpretativo»). Pur non esistendo, a mio giudizio, un pregiudiziale divieto a deroghe al procedimento ex art. 138 – purché nel rispetto del principio della rigidità – non può che essere apprezzato positivamente il rispetto della procedura prevista in Costituzione per la revisione costituzionale”.

Stefano Ceccanti (Diritto pubblico comparato La Sapienza)

“Proprio il fatto che questo procedimento di revisione stia andando in porto dimostra che l’iter in deroga con cui era iniziata la Legislatura non aveva molto senso. Esso era stato giustificato soprattutto per superare un possibile veto del Senato sulla propria autoriforma. L’esperienza ha però dimostrato che in presenza di una significativa volontà politica tale ostacolo, che si cercava di superare con varie soluzioni tecniche procedurali in particolare rispetto al ruolo della Commissione referente, non era affatto insuperabile. Anzi, nel momento in cui la Commissione di studio del Governo Letta, guidata dal Ministro Quagliariello, aveva concluso i lavori, nel settembre 2013, ci sarebbe già stata l’occasione per abbandonare quell’iter procedurale e per spostare subito il dibattito sui contenuti, traducendo prontamente in un articolato il lavoro della Commissione. A quel punto era vero il contrario di ciò che si affermava: l’iter procedurale faceva perdere tempo invece di farlo guadagnare”.

Giovanni Guzzetta (Diritto costituzionale Università Roma Tor Vergata)

“In linea di massima un iter che segue la previsione costituzionale vigente mi pare più lineare di varianti che avrebbero imposto ritocchi alle regole procedurali. E cambiare le regole del gioco mentre si sta per iniziare la partita è, in genere, sempre un po’ sospetto, anche se formalmente legittimo”.

Vincenzo Lippolis (Diritto pubblico comparato Università degli studi internazionali di Roma)

“L’iter in deroga era collegato alla maggioranza delle larghe intese e non avrebbe avuto senso proseguire nella sua approvazione una volta venuta meno la possibilità di approvare la relativa legge costituzionale senza la maggioranza di due terzi. D’altra parte, la mancata convergenza di maggioranza e opposizione sulla riforma è dipesa da motivi politici, non dalla procedura seguita”.

 

PER IL NO

Fulco Lanchester (Diritto costituzionale La Sapienza)

“In via preliminare, bisogna valutare se ci si trovi nell’ambito di un semplice (seppur incisivo) procedimento di revisione costituzionale (ovvero espressione del potere costituente costituito) oppure di un processo costituente in senso stretto. La risposta non è facile, perché tra i due ambiti si è prodotta nell’ultimo lustro un’ampia zona grigia di interconnessioni. Nel caso che interessa, dopo l’ibernazione sostanziale dell’ordinario circuito partitico-parlamentare nel novembre 2011 e la formazione del Governo Monti sulla base di influenze molteplici (esterne ed interne all’ambito nazionale), c’è da osservare che la stessa campagna per le primarie del PD 2012 si giocò sulla prospettiva della Legislatura costituente. La non prevista patta elettorale del febbraio 2013 portò ad un rinnovato intervento degli organi di controllo interno (Presidente della Repubblica) ed esterno (giurisdizioni nazionali ed in particolare la Corte costituzionale) con i successivi tentativi di riforma Letta (Commissione saggi, Commissione esperti, attività parlamentare), risuscitando le impostazioni della rottura delle procedure ex art 138 per rilegittimare il patto costituzionale. Di fronte ai tentennamenti e alle indecisioni partitico-parlamentari la sentenza della Corte cost. sul c.d. Porcellum deve essere vista come il volano della fase attuale. Nel gennaio 2014, dopo la pubblicazione delle motivazioni della sentenza (già conosciuta nell’esito in dicembre) e di fronte alla alternativa di ritornare davanti al Corpo elettorale in un clima favorevole alle formazioni considerate antisistema, la decisione costituente sembrò appalesarsi nel cosiddetto patto del Nazareno (18 gennaio 2014) e la costituzione del Governo presieduto da Renzi (22 febbraio), il quale era assurto alla segreteria del PD l’8 dicembre 2013. In questa prospettiva, Renzi proprio nel febbraio 2014 dichiarò alla direzione del PD che quella con Letta non sarebbe stata una staffetta: «Staffetta è quando si va nella stessa direzione e alla stessa intensità, non quando si prova a cambiare ritmo». Renzi affermò che si era «di fronte a un bivio»: da un lato le elezioni, dall’altro una «Legislatura costituente». Il voto anticipato, spiegò Renzi, «ha un fascino», ma non «risolverebbe i problemi», anche perché non ci sarebbe una legge elettorale in grado di consegnare maggioranze stabili. I protagonisti del patto del Nazareno non sembravano il nuovo, ma tuttavia parevano certificare l’esistenza di un compromesso sul rinnovamento istituzionale, sulla cui efficienza si apersero, però, immediatamente dubbi per l’eterogeneità degli interessi dei componenti. La successiva rottura fra i contraenti dell’accordo, un classico nella storia dell’innovazione istituzionale repubblicana, non ha rilevato per il successo formale dell’azione innovatrice, perché la stessa è stata supportata in maniera trasformistica nell’aula del Senato sulla base della decomposizione progressiva del centrodestra. Che il patto citato avesse natura costituente l’ha confermato, di recente, «in maniera autorevole» Denis Verdini quando a Porta a Porta ha sostenuto che «quando è caduto il patto del Nazareno io ho scelto di continuare con il lavoro delle riforme», perché credo in questa «Legislatura costituente». Gli elementi che fanno propendere per la tesi della rottura rispetto alla continuità nell’ambito del processo di innovazione costituzionale sono – dunque – numerosi, ma è evidente che, in ogni caso, permane la mancanza quella «coscienza costituente» che Mortati oramai più di 70 anni fa evidenziava come non potesse «supplire neppure la più scaltrita capacità tecnica». Con questa risposta l’autore ha inteso affrontare il tema più generale della natura del procedimento in corso”.

Barbara Pezzini (Diritto costituzionale Università degli Studi di Berbamo)

“Apprezzo la rinuncia ad una procedura in deroga al 138: la deroga di per sé introduce una contaminazione squisitamente politica entro un procedimento, come quello della revisione costituzionale, che è disegnato, al contrario, proprio per separare la politica dalla sua cornice di stabilità istituzionale; ed anche qualora intendesse rafforzarne l’ispirazione garantistica, finirebbe invece per indebolirla, contaminando di contingenza ciò che deve essere stabile. Tuttavia, il medesimo rischio di confusione tra i piani, politico e costituzionale, che debbono restare distinti si avverte nel protagonismo del Governo nel corso del procedimento di revisione, che finisce per comprimere nella dialettica maggioranza-minoranza le scelte sulla struttura costituzionale. Non voglio ignorare che proprio su taluni dei contenuti dell’attuale riforma – primo tra tutti il superamento bicameralismo perfetto – il confronto si trascinava da decenni in modo inconcludente e che, per quanto l’esigenza della riforma sembrasse riconosciuta unanimemente, i progetti di riforma si fossero sin qui infranti ogni volta nel gioco dei veti incrociati e delle microconvenienze: l’obiettivo del superamento delle indubbie resistenze ed entropie del sistema richiede una certa quantità di «decisionismo» politico, che difficilmente può prescindere dal diretto coinvolgimento del Governo; ma se ciò giustifica un ruolo attivo del Governo nella fase di iniziativa, non basta, a mio avviso, a superare le obiezioni al protagonismo governativo nel corso del processo parlamentare”.

Gino Scaccia (Diritto costituzionale LUISS Guido Carli)

“Sono del parere che deroghe al procedimento di revisione di cui all’art. 138 siano legittime quando rafforzano la rigidità costituzionale, non quando la attenuano. L’iter previsto nel d.d.l. 813 era, sotto questo profilo, illegittimo, perché riduceva da tre a un mese l’intervallo fra prima e seconda lettura da parte di ciascuna Camera e fissava tempi certi per l’esame in sede referente dei d.d.l. di revisione. Destava inoltre perplessità  –  per ragioni che illustro in risposta al quesito n. 10 – la previsione di referendum distinti su ciascuna delle diverse leggi costituzionali di cui si sarebbe dovuta comporre la riforma. Il fatto che sia poi stata seguita la procedura di revisione ordinaria costituisce un passo in avanti. Nondimeno l’iter parlamentare è stato punteggiato da forzature che non si addicono al procedimento in cui la sovranità del popolo in Parlamento trova la sua più alta espressione. Mi limito a indicarne alcune: il contingentamento dei tempi di discussione, la sostituzione coatta dei membri di maggioranza delle Commissioni affari costituzionali che avevano formulato proposte modificative del testo, in dissenso con il Governo e con l’orientamento maggioritario dei gruppi di appartenenza; la blindatura del testo da parte del Governo, che ha posto sullo stesso una sorta di informale «questione di fiducia», impedendo anche correttivi marginali, e da tutti avvertiti come ragionevoli (ad es. lo spostamento alla Camera dei 5 parlamentari di nomina presidenziali); l’applicazione del sistema del c.d. canguro secondo modalità inedite per un d.d.l. costituzionale (al Senato circa 1.400 emendamenti preclusi con una sola votazione); il mutamento nel corso dei lavori della decisione presidenziale circa l’ammissibilità del voto segreto (prima concessa, poi revocata appena prima di porre in votazione gli emendamenti); la discussione in Assemblea senza che la Commissione avesse concluso i propri lavori e pertanto senza relatore, con l’effetto che sugli emendamenti a un testo di stretta competenza parlamentare i pareri potevano essere espressi soltanto dal Governo; la fissazione di termini inderogabili – e molto stringenti – per la conclusione dell’esame in tutte le letture parlamentari”.

Giovanni Tarli Barbieri (Diritto costituzionale Università degli Studi di Firenze)

“In linea di principio, è da valutare positivamente l’abbandono di procedure in deroga all’art. 138 Cost., per i dubbi di fondo che esse pongono. Tuttavia, la procedura di approvazione della legge di revisione costituzionale «RenziBoschi» ha evidenziato almeno due aspetti criticabili: il primo attiene al fatto che, nella prima deliberazione al Senato è stata applicata in modo rigido la limitazione dell’attività emendativa dopo che la proposta era stata modificata dalla Camera. La presentazione di milioni di emendamenti ha probabilmente contribuito a questo esito: tuttavia, questa decisione sembra sottovalutare le peculiarità del procedimento di revisione costituzionale che dovrebbe assicurare una particolare ponderazione delle scelte, allo scopo di evitare incoerenze e disarmonie in un testo destinato per sua natura, a porsi al vertice della produzione normativa. In secondo luogo, in applicazione dei regolamenti parlamentari, la seconda deliberazione è consistita in un’unica votazione sul complesso della proposta, non essendo possibile la presentazione di emendamenti, ordini del giorno ovvero pregiudiziali o sospensive. Tali limitazioni appaiono di dubbia legittimità costituzionale, sia perché di fatto attenuano l’aggravamento procedurale presupposto dall’art. 138 Cost. sia perché ridimensionano la ratio stessa del termine di tre mesi tra la prima e la seconda deliberazione di ciascuna Camera, che dovrebbe consentire un’adeguata ponderazione, anche prodromica a modifiche del testo (anziché alla sola approvazione o reiezione dell’intero testo). Sarebbe quindi auspicabile una revisione dei regolamenti parlamentari sul punto”.

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