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Matteo Renzi, Fca di Marchionne, il referendum e i volteggi sull’Economist

politica, Matteo Renzi, 4 dicembre
A poco più di otto giorni dal voto referendario del 4 dicembre sulla riforma costituzionale entrambi i fronti stanno raschiando il barile, o la pentola, della loro propaganda facendo impazzire anche i soliti volenterosi che raccomandano prudenza, consigliano di abbassare i toni, invitano a pensare che il 5 dicembre si continuerà pur a vivere e che non vale quindi la pena prendersela tanto gli uni contro gli altri. Giustissimo, per carità, ma anche costoro, i pacifici, mostrano di avere perduto la testa raschiando pure loro il barile, o la pentola, della loro scienza e dottrina.
Il costituzionalista Michele Ainis, per esempio, si è messo su Repubblica a dare consigli come un medico per aiutare il paziente, lettore o elettore che sia, a stare calmo. Ma la prima idea che gli è venuta curiosamente in mente è stata quella di far buttare via gli “ansiolitici”. Sì, avete letto bene: gli “ansiolitici”. Vi lascio immaginare cosa potrà mai accadere agli agitati se, avendo già cominciato per questo a prenderne, smettono di farlo. Andranno forse per strada col machete.
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Sul variopinto fronte del No alla riforma costituzionale di Renzi, che non vuole essere chiamato “accozzaglia”, come ha fatto – putroppo scusandone – il presidente del Consiglio, ma che la sta diventando sempre di più, si è festeggiato l’improvviso arrivo sulle proprie barricate del settimanale inglese Economist. Che ha sposato appunto la causa del No e ha diffidato gli italiani dal fidarsi dell’ex sindaco di Firenze, inadatto – unfit – a guidare il Paese, specie se riuscisse a vincere la sua battaglia referendaria e potesse disporre di una Costituzione confezionatasi su misura. E tutto questo – sentite – mentre un azionista quanto meno importante del settimanale inglese, l’amministratore delegato della Fiat o di come diavolo si chiama adesso, accompagnava amichevolmente Renzi nella visita ad uno stabilimento italiano dell’azienda, gli rinnovava stima e fiducia e naturalmente gli augurava di vincere il 4 dicembre.
Fra gli entusiasti dell’attacco dell’Economist, cui a tavolino è stata decretata un’attendibilità maggiore del quotidiano The Financial Times, appena schieratosi invece con Renzi, si è messo quasi in prima fila persino il Giornale della famiglia Berlusconi, scoprendo il grande “prestigio” del settimanale britannico e dimenticando ciò che invece ne scrisse quando era al governo l’allora Cavaliere rimediandosi lo stesso unfit assegnato adesso al presidente del Consiglio in carica. E ciò mentre Berlusconi in persona, pur dal fronte referendario del No anche lui, non nasconde il suo proposito di dare una mano a Renzi dopo il 4 dicembre, se gli capitasse di perdere, perché di leader alternativi a lui non ne vede.
Figuratevi a questo punto l’entusiasmo del segretario leghista Matteo Salvini, più scatenato di Beppe Grillo nel reclamare il renzicidio politico: lo stesso Salvini, non un suo sosia, che Berlusconi, sempre lui, non un imitatore, ha recentemente difeso con tanta forza dalle critiche di Stefano Parisi da togliere sotto al sedere del mancato sindaco di Milano la poltroncina di “federatore” di un nuovo centrodestra regalatagli in estate e da godersene il tonfo, fra le risate dei generali, colonnelli, capitani, tenenti, marescialli, brigadieri e caporali di Forza Italia.
Qui si fa l’Italia o si muore, diceva il povero Giuseppe Garibaldi, non immaginando che meno di due secoli dopo qualcuno in Italia si sarebbe più modestamente proposto di far morire gli italiani di risate.
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Di risate, per quanto intinte nel sarcasmo velenoso, ha cercato per un po’ di far godere i grillini una certa “Beatrice” navigandone con loro in internet e scrivendone di tutti i colori su Renzi e  sui suoi collaboratori, fra i quali il sottosegretario Luca Lotti, ridotto seduta stante allo stato di “mafioso”. Ma poi all’improvviso  si è scoperto, con l’ammissione dell’interessata, naturalmente rimossa immediatamente dal sito dei grillini, che Beatrice altra non fosse, e non sia, che la moglie del capogruppo forzista della Camera Renato Brunetta. il quale ne ha subito apprezzato orgogliosamente la “libertà” minacciando querele a chiunque avesse osato cercare di intervistarlo su una questione ormai più familiare che politica.
Se vi dovesse venire in mente il sospetto di qualche disagio di Berlusconi, preso com’è dai suoi propositi di collettore del buon senso per costruire nuovi equilibri politici con Renzi e con Sergio Mattarella, anche lui preso di mira dalla moglie di Brunetta, toglietevelo subito dalla testa. E buttatelo via con gli ansiolitici di Ainis, perché Berlusconi ha subito confermato la sua fiducia al capogruppo forzista di Montecitorio tirando le orecchie a Libero per averlo attaccato, e procurandosi l’adeguata reazione del superdirettore Vittorio Feltri. Che notoriamente non risparmia niente a chi gli capita sotto tiro.
Ebbene, con Brunetta e con Berlusconi in versione antirenziana è riuscito a trovarsi in sintonia in questi giorni persino Antonio Ingroia: sì, proprio lui, l’ex procuratore aggiunto di Palermo, quello del processone in corso da tre anni sulle presunte trattative fra lo Stato e la mafia di una ventina d’anni fa, nelle cui acque sporche sarebbe nata persino l’avventura politica di Forza Italia e dell’allora Cavaliere, anche se fra gli imputati di quella roba lì è finito solo l’amico Marcello Dell’Utri.

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Della riforma costituzionale fortunatamente avversata da Berlusconi, che pertanto può anche risparmiarsi questa volta chissà quali altre insinuazioni, Ingroia ha detto che è un regalo, o qualcosa del genere, alla mafia. E  a chi, sennò? Qualcosa da fare “felici” i mafiosi in carcere o ancora liberi. E pazienza se a quella riforma, diversamente da Berlusconi, è invece favorevole il governatore della Sicilia Rosario Crocetta: sì, proprio lui, non un sosia.
Quello che si fida di Ingroia a tal punto da avergli trovato un incarico regionale, mentre in tanti gli voltavano le spalle, anche fra gli ex colleghi, per la miserevole fine -in termini di voti- della sua avventura politica nelle elezioni di tre anni fa, quando l’aspirante leader, imitato da Maurizio Crozza nella versione di un indolente, si candidò addirittura alla guida del governo.

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